lunedì 30 dicembre 2019

Il lupo della steppa

Harry (Hermann) è un uomo in crisi. Un intellettuale introverso, stravagante, visto da fuori s'intuisce la sua inquietudine, ma le sue buone maniere lo rendono tollerabile. L'osservatore - il figlio della donna che gli da una stanza in affitto - non si fida di lui, ma lentamente si lascia conquistare. Ci si affeziona quasi, finché un giorno l'uomo non svanisce nel nulla. Di lui rimane solo un racconto, un diario di quei giorni che rivela uno squilibrio interiore che rasenta la follia. Harry ha le due parti predominanti di sé in conflitto: l'uomo e il lupo. Quando capisce che l'unico modo per porre fine alle proprie sofferenze è il suicidio incontra una donna, probabilmente una proiezione di sé, che lo conduce attraverso ciò che l'uomo ha sempre ritenuto squallido. Harry, che ama la musica classica e la poesia, si ritrova nelle balere a ballare il fox-trot, si innamora di prostitute che alla fine appaiono più sagge e profonde di lui. Tutti i suoi ideali vengono confutati finché lo stesso Mozart, che lui ama come un dio, gli dà dello stupido e lo ridicolizza. Quest'ultimo passaggio è davvero commovente, sembra di assistere davvero a uno scambio tra giganti.
Ho letto questo libro in cerca di risposte, mi sento spiritualmente in linea con Hesse a 50 anni, con la sua crisi esistenziale. Questo libro è un grande dipinto surrealista che incanta, strappato da una tela del miglior Dalì alla fine pone altre domande. Le risposte non appartengono a questa vita, alcune sono raggiungibili solo attraverso l'umorismo (dote rara) ma quanta bellezza!
Leggetelo

martedì 17 dicembre 2019

Pigiama Rabbit




Il 13 dicembre ha visto la luce il mio primo racconto per bambini. Una storia semplice, lunga quarantatré pagine, adatta ad un pubblico che va dai 7 ai 10 anni, ma possono leggerlo anche gli adulti :-)
Un episodio di una collana che ho intenzione di proseguire, per raccontare i giorni delle mie figlie, due bambine come tante che vivono a Milano in questi anni duemila, e provare a fermare il Tempo. E' un periodo che la vita mi sfugge, corre veloce e non c'è modo di placarla. L'unico è scrivere. Ho ibernato la mia prima gravidanza in Portata dal vento, la vita  troppo breve di Michela in Alla fine dei sogni, la scalmanata gioventù in Che ne sai dell'amore, la crisi di mezza età in Rapita. E' il turno delle mie figlie alle elementari, in Pigiama Rabbit.
La storia è quella di Giulia che va a un pigiama party insieme a Giorgia e le sue amiche. Loro fanno le grandi, sono in quinta, la lasciano un po' in disparte ma lei se ne fa una ragione. Nella notte avviene un episodio magico che le coinvolgerà in un'avventura misteriosa dalla quale usciranno con una consapevolezza diversa. Un po' come Pinocchio di ritorno dal paese dei balocchi.
Mi sono divertita a scriverlo. Ieri Giorgia è tornata a casa e l'ha letto d'un fiato. Mi ha detto: "Scrivi proprio bene mamma"! E' il primo dei miei libri che legge, in fondo io scrivo per loro. I miei libri sono la loro eredità: il Tempo fissato nelle pagine. L'unico modo che conosco per afferrare i sogni e le paure, mescolarli alle nostre esperienze, condirli di magia e immunizzarli alla caducità.
Lo ammetto, ogni volta che scrivo un racconto mi sembra di creare un mondo parallelo in cui una parte di me continua a vivere. Questo mi rende felice.

Qui trovate un breve filmato di presentazione, girato ieri con Giorgio in pausa pranzo: https://www.youtube.com/watch?v=5k_TmvjqM4U

giovedì 14 novembre 2019

Diario di viaggio a Berlino






Day 1: venerdì 1 novembre 2019
Siamo partiti da casa alle 10 di mattina e arrivati a Malpensa alle 11. Abbiamo parcheggiato all'interno dell'aeroporto, vicino al Terminal 2 dedicato ai voli della Easy Jet. Spesa totale: 35 €.
Il volo è stato puntuale e piacevole. Arrivati a Tegel, come suggerito su Tripadvisor, abbiamo acquistato i biglietti dei mezzi pubblici per l'intera permanenza a Berlino, compresi gli spostamenti da/per l'aeroporto: 1 biglietto settimanale a 30 € (con quel tipo di abbonamento un adulto può ospitare, durante il week-end, un adulto e fino a quattro bambini) e due giornalieri a 7 € l'uno, con i quali, l'altro adulto, ha ospitato le piccole nei giorni feriali.
Siamo arrivati alla fermata di Anhalter, quella del nostro hotel, in meno di mezzora, utilizzando due bus: il TXL, preso fuori dall'aeroporto, e il M41, preso alla Stazione Centrale (Hauptbahnhof). 
Il Novotel Suites Berlin City Potsdamer Platz ci è apparso subito molto accogliente e pulito. E' un 3 stelle ma potrebbe tranquillamente essere considerato un 4. Prezzo: circa 100 € a notte per una quadrupla. La stanza era spaziosa, con due bagni separati: uno per la doccia, la vasca e il lavandino, l'altro per il gabinetto e il lavandino. Al centro c'era una specie di angolo cottura con forno a microonde, bollitore per il tè, lavandino e frigorifero. La TV, posta a metà tra il letto matrimoniale e il divano letto - divenuto per tre notti letto a una piazza e mezza - era piuttosto scomoda perché da nessuna delle due postazioni era visibile decentemente, ma non ne abbiamo vista molta, anzi, direi per niente. A terra c'era la moquette pulita, i letti erano comodissimi. Dalle finestre entrava la luce ovattata della città. 
In questo hotel ho fatto tra le più belle dormite della mia vita, infatti quando tornerò a Berlino, lo sceglierò nuovamente come appoggio. Anche perché centrale e servito molto bene con i mezzi pubblici.



A Berlino fa buio molto presto e, data anche la previsione di pioggia dalle 19, abbiamo rinunciato al pisolino con cui inauguriamo ogni nuova città e siamo usciti subito alla sua scoperta. Passati dal Check Point Charlie, proprio dietro l'hotel, siamo andati verso la Porta di Brandeburgo. Lì ha iniziato a piovere, anticipando le previsioni di un'oretta. Abbiamo tirato su i cappucci dei giubbotti e abbiamo proseguito verso il Parlamento, imponente e con la cupola di vetro che chiama a sé come il canto di una sirena. La visita alla cupola, che è gratuita, si prenota online, ma quando ho provato io, troppo a ridosso della partenza forse, non c'era più posto. Così sono andata al Centro Visitatori, un gabbiotto dall'altro lato del marciapiede, per vedere se si potesse prenotare direttamente lì, ma quando siamo arrivati noi era già chiuso (credo chiuda alle 18) così abbiamo rimandato al giorno dopo la prenotazione, sperando di riuscire a ottenerla. 
Mezzi demoralizzati e umidi siamo tornati verso l'hotel, in zona Potsdamer Platz, passando per il monumento all'Olocausto che, vista la mancanza di illuminazione, non ci ha offerto molto. A Potsdamer Platz abbiamo visto i primi resti del muro, siamo entrati nel colorato Sony Center e abbiamo cenato al Lindenbrau, un locale su tre piani che serve ottima birra e piatti tipici della tradizione tedesca a un prezzo abbastanza contenuto.
La prima impressione di Berlino è stata molto approssimativa, forse perché l'abbiamo vista al buio: c'era poca gente per strada e poca luce, il clima freddo e piovoso era poco invitante ma si percepiva un certo fascino...



Day 2: sabato 2 novembre 2019
Ci siamo svegliati alle 8 e siamo andati a fare colazione nei paraggi nell'ottimo Coffee & Cookie. I gestori sono stati molto cordiali, si rivolgevano a noi perfino in italiano, e il cibo era squisito. Siamo passati di nuovo da Potsdamer, soffermandoci per qualche minuto nell'inquietante Monumento all'Olocausto, passeggiando nel labirinto di quelle che sembravano tombe senza nome. 




Siamo tornati alla porta Brandeburgo per raggiungere il Parlamento e prenotare la visita. Nel tragitto abbiamo costeggiato il bellissimo Tiergarten e giocato con uccellini e scoiattoli. Siamo riusciti a prenotare la visita per l'indomani alle 19:30, così, tutti allegri, abbiamo preso il bus 100 e, in una decina di minuti, abbiamo raggiunto Alexander Platz, proprio sotto la famosa torre che abbiamo soprannominato, in maniera non molto originale, la Tour Eiffel di Berlino. 
Abbiamo pranzato con Fish and Chips in uno dei numerosi localini che si trovano ai piedi delle varie stazioni, e abbiamo proseguito il giro. C'era molta polizia per le strade, file di camionette e agenti con le divise numerate; i berlinesi stavano organizzando una manifestazione per il popolo curdo. Ci siamo fermati a mangiare i waffel, in un bar accanto alla Cattedrale - a Berlino ci sono ristoranti e bar ovunque, come accadde anche a Napoli, non riuscivamo a fare due passi senza fermarci a mangiare qualcosa - e siamo entrati nell'isola dei musei (Museumsinsel). Attratti dalla maestosità della Cattedrale abbiamo deciso di visitarla, anche per vedere la città dall'alto. 




Abbiamo acquistato i biglietti di ingresso spendendo 7 €  ad adulto - i ragazzi fino a 18 anni entrano gratis - abbiamo visitato la cripta, il museo e siamo saliti in cima dove abbiamo assistito a un bellissimo panorama della città. In quel momento è spuntato il sole e ci siamo resi conto che le temperature erano molto aumentate; eravamo passati dai 6 gradi del giorno precedente ad almeno 16, se non 18, di quel momento. Dall'alto assistiamo al corteo dei manifestanti; questo ci fa pensare che il Cielo li stia baciando sulla fronte, e lo farei anch'io se potessi. Ci uniremmo a loro se avessimo più tempo! Purtroppo così non è... 



Dopo un bel giro intorno alla cupola della Cattedrale, che ci ha consentito di osservare ogni lato della città, siamo usciti dalla chiesa, fatto un giro nel mercatino d'arte sulle sponde della Sprea, ci siamo riposati qualche minuto, senza farlo apposta, nel famoso parco dei turisti stanchi: il LustGarten. 
Tornando verso la nostra zona, percorrendo il famoso viale sotto i tigli (Unter den Linden), ci siamo fermati alla Nuova Guardia, un piccolo pantheon vuoto con al centro la statua contro la guerra che raffigura una madre con il proprio figlio morto tra le braccia. La cosa particolare è che tutti si fermano all'ingresso. C'è come una forza che impedisce di avvicinarsi alla statua e l'aria è davvero tetra. Solo le bambine riescono a fare qualche passo, titubanti, dopo che ho insistito un po'.


Da lì, cartina alla mano, abbiamo deciso di visitare quella che viene definita la piazza più bella di Berlino, Gendarmenmarkt, che effettivamente è bella con le due chiese gemelle e i palazzi eleganti. I lampioni della piazza ci ricordano un po' quelli di Parigi, così decidiamo di tornarci la sera per vederla illuminata (scopriremo che anche la piazza più bella è poco illuminata e ci chiederemo se sia una scelta estetica, che la adombra di mistero ma in parte la penalizza, oppure c'entri il risparmio energetico). Passiamo da Babel Platz - proprio di fronte all'università - dove i nazisti bruciarono i libri ritenuti scomodi, e ripassiamo da Check-point Charlie, facendo sosta in uno Starbucks. Torniamo in hotel verso le 5 che, guardando fuori, sembrano le 9 di sera. Usciamo dopo un paio d'ore per cenare e fare una passeggiata serale in questa bella città i cui contorni ci sono un poco più chiari. Più che altro con la luce del giorno ci viene restituita la dimensione della vastità.
Impressione del secondo giorno: Berlino è una città sincera, poco romantica, fiera, senza fronzoli. Confronto ad altre grandi città, sembra disabitata. Le luci soffuse intiepidiscono il gelo. Ci piace moltissimo 😊

Day 3: domenica 3 novembre 2019
Ripetiamo la colazione da Coffee end Cookie, alzando un po' il tiro: Giorgia ha mangiato le uova strapazzate con un contorno di pomodorini e insalata. Alle 9 di mattina. 


Abbiamo preso la S (linea metropolitana sopraelevata) e siamo andati all'East Side Gallery. Un museo a cielo aperto, lungo un chilometro e mezzo, dai molteplici messaggi sconvolgenti. Un inno alla libertà, alla bellezza che copre l'orrore di un muro che per decenni ha diviso, violentato, ucciso. Sarebbe bastato quello a riempire una giornata, a saziarci di stupore, ma non era ancora l'ora di pranzo ed eravamo infreddoliti e con i piedi bagnati. La temperatura era scesa e aveva ricominciato a piovere, avevamo con noi gli ombrelli, certo, ma i piedi nella pozzanghere sono inevitabili quando si cammina e si osservano mondi dipinti su un muro. E che muro!
Avevo promesso alle bambine che le avrei portate al KeDeWe, ma scopriamo - con somma gioia mia e di Giorgio che non amiamo i grandi magazzini - che la domenica è chiuso. Anche in questo Berlino è strana, per certi versi un po' all'antica. I supermercati non rimangono aperti tutta la notte, e la domenica sono addirittura chiusi.
Così ci troviamo davanti al dilemma: trascorreremo il pomeriggio al Pergamon o a Chatlottenburg? 
Il pranzo in un ristorantino asiatico ci chiarisce le idee. Il palazzo reale ci attira meno di un museo unico al mondo, così ci gettiamo nel Pergamon. Dopo una buona mezz'ora di fila - le strade sono vuote ma i musei e le sale da concerto sono piene - scopriamo che con un biglietto cumulativo di 18 € ad adulto (i ragazzi fino a 18 anni entrano gratis) è possibile visitare tutti e 5 i musei dell'Isola. Così oltre al Pergamon, con l'imponente Porta di Babilonia al suo interno, visitiamo anche il Neues con il meraviglioso busto di Nefertiti, e sono presto le 6. A quell'ora i musei chiudono e noi ci dirigiamo a piedi verso il Parlamento, attraversando l'Unter den Linden che collega la Cattedrale alla porta di Brandeburgo. Arriviamo quarantacinque minuti prima del nostro turno, fa molto freddo, così ci presentiamo all'ingresso convinti che ci rimbalzeranno; i tedeschi sono molto precisi, i loro marciapiedi sono lindi e allo stesso modo immagino siano le loro tabelle orarie. Invece ci fanno entrare! 


La cupola al suo interno è incantevole, suggestiva la salita. L'audio guida, inclusa nel biglietto gratuito :-) ci spiega passo passo cosa stiamo vedendo, sia dentro che fuori. Dall'alto si vede l'aula plenaria e ci viene spiegato che attraverso la cupola riceve aria pulita e calda - anche se fuori piove e c'è il gelo - nonché luce in maniera del tutto ecologica. Il panorama esterno dev'essere altrettanto suggestivo non fosse che la vetrata è quasi interamente appannata e quindi vediamo le luci ma non riconosciamo i luoghi. 
Aggiungiamo una visita al Parlamento in orario diurno, oltre che una giornata intera all'interno del Tiergarten, una allo zoo, Charlottenburg e un giro intero sul bus 200 e uno sul 100, al programma di ritorno a Berlino. Che potrebbe essere uno dei nostri prossimi viaggi. 
Due giorni e mezzo sono davvero pochi per una simile città. Ci consoliamo tornando a cenare nel nostro bel posticino al Sony Center, ingozzandoci di stinco di maiale, CurryWurst e ottima birra. Le bimbe bevono Coca Cola che costa meno dell'acqua.


Berlino è magnifica, l'aria è fresca e pulita, le persone magari ti danno una spallata quando ti passano accanto ma non sanno nascondere un sorriso per le bambine. Forse perché di bambini, da quelle parti, se ne vedono pochi.
Prima di rientrare passiamo a visitare la stazione fantasma, vicino all'hotel, distrutta dai bombardamenti, di cui è rimasta in piedi soltanto la facciata. 
Le bimbe fanno il bagno caldo, noi la doccia. 
Alle 23 siamo tutti addormentati.



Il rientro scivola come l'andata, lasciamo l'hotel alle 8, facciamo una seconda colazione in aeroporto, l'aereo decolla alle 11:30, dopo un'ora e trenta siamo a Malpensa. 

#diariodiviaggioaberlino #berlin #diariodiviaggio

lunedì 28 ottobre 2019

La cura



Ecco l'ottavo libro dell'anno - una media scandalosa ma, visti i tempi difficili, mi sembra già miracoloso riuscire a leggere e capire qualcosa - subito dopo un altro libro di Hesse, Narciso e Boccadoro. Forse è proprio di quest'autore che ho bisogno in questo periodo, non escludo di proseguire con un altro suo libro.
"La cura" non è stata una lettura premeditata. Mi è capitata tra le mani per caso, forse inconsciamente attratta dal titolo 😬Quando ho letto nella prefazione un aforisma di Nietzsche: "L'ozio è il padre della psicologia", ho capito che era ciò che cercavo e mi sono tuffata nella lettura. Ho navigato in acque chete per due mesi, anziché un paio d'ore. Il libro è molto breve e ci presenta un Hesse inedito, che si mette a nudo. Il protagonista è egli stesso, alle prese con le proprie fragilità che affronta in maniera quasi scanzonata e ironica, caratteristiche di cui pensavo fosse sprovvisto.
Hesse scrive questo breve sfogo, perché non si può definirlo romanzo, durante un periodo di cura a Baden a causa della sua sciatica, disturbo piuttosto frequente nei "vecchietti" della nostra età, e ho riso e sofferto con lui. Inutile girarci intorno ostentando una giovinezza che non c'è più; il corpo a questa età inizia ad avere i primi segni di cedimento, io stessa ho avuto un calo notevole della vista e ho iniziato a soffrire di acciacchi che si susseguono e rendono tutto più difficile. Anche lui confonde se stesso con la sua malattia, facendosi sopraffare. Diventa insofferente verso chi affronta i suoi stessi disturbi con spavalderia, compatisce - con un sottofondo di gioia - chi sta peggio di lui.
Alla fine, però, riesce a elevarsi, a stabilire che è la sciatica ad appartenergli e non viceversa. Gli spunti di riflessione sono molteplici. Lo consiglio a chi si trova ad affrontare questa stramba età di mezzo. Quasi quasi lo rileggo 😂

DAY 8: Joshua Tree



Il mattino in cui abbiamo lasciato Los Angeles ci siamo svegliati con calma, abbiamo sistemato le valigie, dato un'ultima occhiata sui tetti delle case vicine, salutato le palme, il grattacielo di Wilshere poco più in là. Abbiamo lasciato la casa azzurra verso le undici per dirigerci verso la Freeway che ci avrebbe condotto fuori città, verso il deserto.
Il traffico non ci ha mollati per un bel pezzo, motivo per cui non abbiamo rimpianto Los Angeles. In un paio d'ore abbondanti, dopo una sosta per il pranzo, siamo arrivati al nostro Hotel della catena "American Best Value" in Yucca Valley che, con la modica cifra di 60 dollari a notte, ci ha offerto anche la colazione.
Scesi dall'auto ci ha accolti un caldo impressionante, ci saranno stati almeno 35 gradi. Il motel, in tipico stile americano ci è apparso subito carino, ben arredato, con qualche cactus nel piazzale, il parcheggio vicino alla camera al piano terra. C'era anche la piscina, le bambine avrebbero preferito gettarsi dentro e trascorrerci l'intera giornata, ma il parco nazionale di Joshua Tree ci aspettava.
Dopo una breve pausa per mettere giù le valigie e riprenderci dallo sbalzo termico, siamo andati alla scoperta di questo posto magico.
L'ingresso, a 15 minuti dal motel e valido per qualche giorno, è costato, se non ricordo male, 30 dollari; purtroppo noi lo abbiamo sfruttato soltanto per qualche ora.




Ci siamo addentrati con l'auto, fermandoci di tanto in tanto vicino alle rocce più particolari. Gli alberi erano in fiore e c'erano molti fiorellini colorati sparsi qua e là nel deserto. La primavera non si ferma proprio davanti a niente...




Dopo un paio d'ore trascorse su e giù dalle rocce, ci siamo diretti verso un'altura che dominava la valle. Il paesaggio lassù era ancora più surreale, nonostante la foschia si intuiva l'immensità tutt'intorno. Abbiamo lasciato il parco all'imbrunire per tornarci di notte. Nessuno di noi aveva mai visto tante stelle e tanto buio nella propria vita. Ci siamo sentiti immensamente piccoli e infinitamente fortunati di poter assistere ad un simile spettacolo della natura, che avrebbe meritato qualche giorno anziché qualche ora.



lunedì 14 ottobre 2019

DAY 7. Ultimo giorno a Los Angeles: La Citadela e Long Beach



L'ultimo giorno a Los Angeles avremmo anche potuto risparmiarcelo. Avevamo visto tutto ciò che ci interessava e io scalpitavo per iniziare la nuova parte del viaggio. Ci aspettava Joshua Tree, il viaggio verso Williams attraversando il deserto e i paesini sulla Route 66 come Amboy, Oatman e Seligman. Ci aspettava il Grand Canyon, Las Vegas e San Francisco e avevo il terrore che per qualche motivo ci richiamassero in Italia prima di concludere questa bella vacanza.
L'itinerario di quel giorno è stato abbastanza superfluo e improvvisato. Dato che avevamo del tempo da perdere, siamo andati all'outlet "la Citadela" a una mezzora da casa. Lì abbiamo acquistato un paio di Nike per Giorgia a 35 dollari, due paia di Converse per Giulia e Giorgio a 30 dollari, due polo Calvin Klein a 19 dollari, e dell'abbigliamento leggero per il deserto di cui ero sprovvista. Avevo pensato a tutto, tranne al caldo infernale che mi avrebbe atteso una volta lasciata L.A.




Nessuno in casa ama i centri commerciali, eccetto Giorgia, per cui l'outlet è stato un piccolo supplizio ma con quei prezzi e il tempo a disposizione sarebbe stato un peccato non farci un salto. Poi siamo andati in un Mc Donald dove abbiamo scoperto che finalmente avevano cambiato la collezione degli Happy Meal: i Transformer avevano preso il posto di quegli adorabili animaletti di peluche che ci costringevano a mangiare lì, quasi quotidianamente. Quella è stata una delle ultime volte che siamo stati da Mc Donald, le bambine improvvisamente hanno iniziato a non sopportare più hamburger e patatine, che strano!




Dopo pranzo abbiamo deciso di visitare un posto fuori città in cui non ero mai stata: Long Beach. Un altro viaggio nel delirio della Freeway ci ha portato in questo posto che sembra proprio una località balneare, diversa da Venice e Santa Monica. Più raccolta, malgrado la spiaggia sconfinata e le piattaforme del porto davanti. L'acqua non era certo balneabile però in spiaggia si stava bene. C'erano poche persone, io e Giorgio abbiamo creato una tendina per la testa con dei bastoncini e il foulard di zia Maria e ci siamo goduti il tepore della sabbia sulla schiena mentre le bambine correvano a perdifiato e si rotolavano sulla spiaggia.



Nel tardo pomeriggio abbiamo fatto un pellegrinaggio nell'ultimo luogo dei miei ricordi: la casa di Frank, la persona gentile che mi aveva ospitato diciassette anni prima. Così ci siamo diretti nella zona residenziale di West Hollywood che però, nella parte che interessava a me, ho trovato un po' degradata. Abbiamo parcheggiato al 1936 di L.C. Road e sono scesa a sbirciare dentro, dove... non c'era Frank. La casa era molto più piccola di come la ricordassi e anche meno bella. C'erano dentro dei ragazzi più giovani di lui, che nel 2002 aveva 44 anni. Ho pensato che Frank - che in "Che ne sai dell'amore" ho chiamato Paul - avesse traslocato. In fondo gli americani non si fermano più di tanto nello stesso posto. Forse si era trasferito a New Orleans dove ai tempi viveva la fidanzata.




Comunque, senza grandi struggimenti e felice della mia vita attuale, molto più interessante e vivace di quella di allora, me ne sono tornata con la mia bella famiglia nella casettina azzurra; siamo andati nella vicina lavanderia a gettoni, abbiamo pranzato con della frutta e qualche sandwich presi da Seven e poi siamo andati a dormire :-)

mercoledì 25 settembre 2019

DAY 6. Universal Studios

E' finalmente arrivato il giorno degli Universal Studios. Diciassette anni fa ci avevo rinunciato per il costo esorbitante del biglietto d'ingresso. Anche questa volta ha rischiato di balzare ma poi mi sono detta che forse non tornerò più a Los Angeles, leggendo le recensioni in giro pareva ne valesse davvero la pena... Così Giorgio ha venduto un rene   :-)  e abbiamo acquistato i biglietti online.
Dico subito che secondo me non ne vale la pena, tornassi indietro risparmierei 450 € e me ne andrei un giorno sull'Oceano.  Alla fine è solo un parco a tema, mi sono sempre rifiutata di andare ai vari Disneyland, Gardaland... in questo caso speravo di entrare nell'atmosfera dei film, purtroppo non è accaduto. Ma andiamo con ordine :-)

Grazie al fuso orario residuo e la vicinanza dal nostro appartamento (zona East Hollywood/Korea Town), siamo arrivati agli Studios molto presto. Abbiamo parcheggiato all'interno del parco, nella zona più distante dall'ingresso: General Garage settore Jurassic - che è il meno costoso, 25 € - e con una passeggiata di dieci minuti sulla City Walk siamo arrivati all'ingresso del parco.





Prima delle nove c'era poca gente, avevamo scelto anche un giorno in settimana (mercoledì) proprio per non trovare la ressa ed effettivamente fino a mezzogiorno è andata bene. Avremmo potuto fare anche i biglietti direttamente alla cassa. Così ci siamo fiondati subito verso le attrazioni più gettonate. Prima su tutte: il mondo di Harry Potter.










Siamo entrati nel famoso villaggio di maghi (le bimbe erano emozionatissime, in quei giorni non facevano che rivedere i film di Harry Potter sul computer) diretti verso l'attrazione principale, cioè la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.




Non sapevamo bene cosa aspettarci, immaginavamo una passeggiata al suo interno, qualche effetto speciale e via, finché  non ci siamo trovati dentro una giostra dall'aria inquietante. Mi è venuto il sospetto che fosse un po' troppo per noi, che non amiamo essere sballottati, così ho chiesto al signore all'ingresso se fosse un po' troppo per le bambine; questo mi risponde di no - o almeno così mi sembra, il mio inglese è abbastanza patetico - e ci fa salire, quasi al volo, su uno dei sedili da quattro che sfilano senza quasi fermarsi. Ci mettono le protezioni di sicurezza e lì inizio a preoccuparmi. Giorgia inizia a piangere (l'avrei fatto anch'io ma dovevo darle coraggio). Insomma, la sensazione è stata quella di salire su una scopa volante e giocare a Quidditch con Harry Potter che appare davanti e, sospeso a qualche centinaio di metri, ci invita a seguirlo e noi - vento in faccia - voliamo, ci ribaltiamo, scendiamo in picchiata, saliamo ad altezze vertiginose, insomma, personalmente volevo morire.
Lasciamo l'attrazione giurando che non ci saliremo mai più e ci dirigiamo, barcollanti, verso la stazione dello Studio Tour; per fortuna non c'è fila neanche lì. Saliamo su un pulmino dove ci consegnano gli occhiali per le scene in 4D, ma siamo un po' più tranquilli. Il giro inizia attraversando alcuni set che rappresentano una sorta di museo del cinema, come la zona della guerra dei mondi con tanto di areo precipitato e fumante, i quartieri di New York o Western che utilizzano per alcune scene di film, Wisteria Lane delle Desperate Houswives, il paesino dei Nonsochì tanto odiati dal Grinch, la giungla di Jurassic World, il motel di Psyco con il protagonista che carica sul baule di un'auto una donna appena assassinata, la parete azzurra che rappresentava la fine del mondo fittizio del Thruman Show, il mare dello Squalo (che è invece un laghetto ed è lo stesso mare del Thruman Show e dell'isola di Tortuga) e poi abbiamo assistito a un repentino cambio di clima, passando nel giro di un minuto dal sole al temporale, alla pioggia, all'inondazione!




Poi siamo passati con il pulmino dentro dei capannoni dove abbiamo assistito ad alcune scene di film riprodotte in 4D. Sembrava di assistere dal vivo al combattimento di un gigantesco Godzilla contro un T-rex, che ci cadeva addosso. O a un incidente in metropolitana, con le fiamme che sembravano divorarci. O sopra un auto lanciata a folle velocità sulle strade di Los Angeles in un inseguimento di Fast & Furious. Insomma, il giro degli Studios è stato proprio bello, ma non giustifica i 450 € per i biglietti d'ingresso.

Usciti da lì siamo andati a Springfield dove abbiamo fatto merenda con un Giga Donuts tanto amato dai Simpson.




Da lì ci siamo spostati all'attrazione dei Mignon, con Giorgia che frignava per la paura, e quella è stata l'ultima giostra che ci siamo concessi. Le emozioni a più dimensioni non fanno per noi, così abbiamo rinunciato alla giostra di Kung Fu Panda, la Mummia e Walking Dad. Ci mancavano solo gli zombi!
Dopo tutte queste rinunce siamo andati allo show intitolato "Animal Actor", carino, e poi abbiamo pranzato da Crusty Burger. Purtroppo a quel punto sono iniziate le file, abbiamo atteso un'ora per mangiare però abbiamo trovato posto a sedere, sentendoci dentro una puntata dei Simpson.




Abbiamo assistito allo show intitolato "Water World" con gli stuntman che si gettavano dall'alto in mezzo alle fiamme, esplosioni, l'aereo che precipitava proprio davanti a noi... forse questa è stata l'attrazione più suggestiva della giornata.
Usciti dal parco siamo ripassati dalla City Walk, che è molto carina, e per tornare a casa abbiamo fatto un giro su Mulholland Drive, da dove si vedono gli Studios dall'alto con tutta la San Fernando Valley, e Beverly Hills.

Alla fine è stata una bella giornata :-)



venerdì 20 settembre 2019

DAY 5. Malibu e quasi-Topanga Canyon



Dopo cinque giorni il fuso orario è riassorbito, almeno al mattino. Ci svegliamo con il sole alto nel cielo. Come da programma, dopo colazione, andiamo a Malibu.
Ci fermiamo nel primo parcheggio libero che troviamo davanti a un passaggio che porta al mare. Costeggiamo alcune ville ed ecco la spiaggia, raccolta, calda, più piccola di quella di Venice e Santa Monica. Anche l'Oceano è più calmo, viene quasi voglia di fare il bagno. Peccato non aver portato il costume. Le bambine allora rimangono in mutandine e vanno a bagnare i piedi, giocano sulla sabbia, mentre io e Giorgio ci godiamo un po' di tepore e fantastichiamo sulle ville alle nostre spalle. Ci chiediamo a chi appartengano, quanto possano costare, quanto ci piacerebbe vivere lì e cosa faremmo se potessimo miracolosamente farlo. E' tutto molto bello, peccato rimarrà solo uno dei tanti sogni a occhi aperti che non realizzeremo mai.




Pranziamo in un Mc. Donald di lusso nei paraggi - siamo pur sempre a Malibu, senza accento sulla U - e poi decidiamo di andare a Topanga Canyon.
La strada che porta al parco è chiusa così, grazie al navigatore, allunghiamo di circa una cinquantina di chilometri - però il giro è molto bello, i canyon all'interno sono incantevoli - e ci ritroviamo davanti a un ingresso chiuso, forse quello che mi ispirò il capitolo intitolato per l'appunto "Topanga Canyon" in "Che ne sai dell'amore". Gira e rigira, da perfetti impediti, riusciamo a entrare in un altro parco chiamato: Los Leones. Tanto che ci siamo ci infiliamo nel sentiero e facciamo questa bella passeggiata molto confortante. Non sarà Topanga ma quanto ci ricorda la montagna che amiamo. Peccato l'affollamento di persone molto ginniche che incrociamo sul percorso. A noi la montagna piace in solitaria ma siamo a Los Angeles, uno dei posti più popolati del mondo, tocca accontentarsi :-)



Torniamo a casa benedicendo il cambio automatico, che in mezzo a quel traffico è un salvavita, e andiamo alla lavanderia a gettoni con tre buste di roba, tra vestiti e asciugamani. Al rientro troviamo la padrona di casa che ci offre una bottiglia di vino rosso per farsi perdonare. Io continuo a guardarla in cagnesco pregustando il momento in cui la stroncherò con una recensione negativa su Tripadvisor, Giorgio la ringrazia cordialmente.




La sera prenotiamo l'ingresso agli Universal Studios per il giorno dopo: 450 € in quattro, un autentico salasso. Chissà se ne varrà la pena ;-)

mercoledì 18 settembre 2019

DAY 4. Osservatorio e Venice Beach



E' il giorno di Pasqua ma noi non ce ne accorgiamo. A Los Angeles la Pasqua è un giorno come un altro, tutti i negozi e i supermercati sono aperti, il traffico è il solito tormento e non esistono le uova di cioccolata.
Finalmente ci svegliamo a un'ora decente, qualche minuto dopo l'alba. Il jet-leg si sta dissolvendo e la giornata appare più semplice. Facciamo colazione sul mobiletto della sala :-)



e poi partiamo per l'Osservatorio; in dieci minuti raggiungiamo il parcheggio grande ai piedi della collina. Arriviamo presto, prima delle 9, e troviamo subito posto. Quasi senza aspettare il resto della famiglia mi incammino verso la strada asfaltata ma Giorgio, che è un filo più attento di me, mi indica un percorso pedonale sterrato. Stupita, quasi offesa, dico che non credo porti all'osservatorio. Incredibilmente ha ragione lui. Così lo imbocchiamo - io sempre un po' titubante - e ci ritroviamo su un sentiero al sole che mi ricorda tanto la Calabria (anche diciassette anni fa la California mi ricordava la Calabria, anche se in quel sentiero non c'ero mai stata).




La salita è di circa mezz'ora, la nostra dura un po' di più perché ci fermiamo qua e là a scattare foto, soprattutto quando scorgiamo la famosa scritta di Hollywood.




Arrivati in cima rimaniamo incantati dalla vista sulla città. In pratica si vede quasi tutta e toglie il fiato per la sua immensità.
Entriamo all'Osservatorio che non è un granché. La principale attrazione del luogo resta la sconfinata Los Angeles vista dalla collina di Hollywood.




Pranziamo in un fast food dentro l'osservatorio e poi decidiamo di andare a Venice Beach. Impieghiamo quasi un'ora a causa del traffico infernale sulla Freeway, parcheggiamo all'altezza del Nouvelle Caffè, un locale dove mi rifugiavo da ragazza che purtroppo ha lasciato il posto a una lavanderia :-(
Venice è sempre affascinante e scanzonata, con le bancarelle sul lungomare, la spiaggia che si estende a perdita d'occhio.



Ci avviciniamo a un gruppo di persone che fanno musica. Perfetti sconosciuti che seguono lo stesso ritmo. Ci sono delle tende, molte birre, ognuno con il proprio strumento improvvisa una melodia e chi non suona balla, ed è meraviglioso. Balliamo anche noi e Giorgio, che non sa ballare, rimpiange di non aver portato il violino. Mi preoccupo per le bambine che respirano passivamente più marijuana di quanto non sia accaduto nei giorni precedenti. A Los Angeles l'hanno legalizzata e la fumano tutti. Lì, sebbene ci troviamo all'aperto su una spiaggia, sembra di essere all'interno di una nube tossica. Giulia inizia a cantare una canzone della Carrà - che non so, giuro, dove l'abbia ascoltata - e quando fa così vuol dire che ne ha respirata troppa, così lasciamo il gruppo a malincuore e proseguiamo la nostra passeggiata.
Le bancarelle sono sempre originali, quella che supera tutte, che ci suggerisce una possibile prossima professione, è quella gestita da un uomo con l'aria da Gesù Cristo, seduto su una poltrona, con accanto un cartello che dice: ASK ME ANYTHING. 1 dollar.
Insomma Venice ci conquista con quell'aria un po' decadente ma esclusiva, di anni settanta che sopravvivono cocciutamente ai duemila, con la sua voglia di libertà che trasmette in chi ci trascorre anche solo qualche ora.



Rovino un po' di quella sensazione magica perché convinco la famiglia a fare un giro sulla Promenade di Santa Monica. Volevo rivedere l'altro Trastevere, quello in cui avevo chiesto lavoro nel 2002 e che mi aveva indirizzato a Hollywood. Purtroppo la Promenade è un po' come il corso di qualunque posto di mare, con i negozi e i ristornati, ma ci fermiamo poco e torniamo a casa a un orario più che decente, molto vicino al tramonto :-)

mercoledì 28 agosto 2019

Narciso e Boccadoro


"Narciso e Boccadoro" di Hermann Hesse,
un libro che ho preso e lasciato più volte, ma mai abbandonato del tutto. Sentivo che aveva qualcosa da darmi così ogni tanto lo riprendevo, ci riprovavo.
Il momento giusto è arrivato adesso, dopo alcuni anni, in questi giorni di ozio marino, di grandi domande sul tempo e la caducità della vita. Di lotta spasmodica tra la ricerca di emozioni per non pensare alle brutture del mondo - oggi non c'è la peste ma c'è il razzismo, l'egoismo, il mondo è popolato da esseri imperfetti, dall'ingiustizia e Dio ha fallito - e la rassegnazione. Quel Dio cui Narciso ha dedicato l'esistenza, rinunciando a ogni piacere.
Narciso e Boccadoro, così diversi nei modi, così uguali nello spirito. Due anime complementari, gemelle.
Narciso che trova il proprio equilibrio nella vita claustrale, rinunciando, in fin dei conti, a vivere, e Boccadoro che si getta nella vita a capofitto, cibandosene a piene mani, quasi facendone indigestione. Eppure i due restano amici. L'unico vero amore di Narciso è quello provato per Boccadoro. Boccadoro ha invece amato centinaia di donne, oltre al caro amico, ma trova nell'arte, non in Dio, il senso dell'esistenza. L'arte che senza esperienze intense, traumatiche, gioiose, violente, non potrebbe esistere. 
Dov'è Dio se non nell'arte? 
Questo è un romanzo lento, senza tempo, che va assaporato poco alla volta, come bisognerebbe fare con la vita: senza fagocitarla ma senza neanche rinunciarvi del tutto. Lo stile di Hesse è esso stesso un'opera d'arte, cibo per l'anima, invito alla riflessione. Consigliato a chi non ha fretta, a chi non si accontenta. A chi cerca grandi risposte.

venerdì 21 giugno 2019

DAY 3. Diario di viaggio in California: Down Town di Los Angeles






Anche questa mattina ci siamo svegliati prestissimo, circa alle 4:30, ma i risvegli a Los Angeles sono sempre piacevoli, l'aria è fresca, leggera e anche l'ora che precede l'alba non è buia del tutto.
Usciamo alle 8 dopo aver fatto una buona colazione a casa, apparecchiando su un mobiletto della sala perché, è evidente, negli Stati Uniti nessuno mangia più insieme, così, in un appartamento dotato di due camere da letto, un bagno e una bella cucina, non esiste un tavolo da pranzo.





Il progetto per la giornata prevede una passeggiata a Down Town, che ricordavo come una zona con quattro grattacieli e nient'altro, Beverly Hills e l'Osservatorio, invece Down Town si rivela molto più interessante di quanto ricordassi!
Parcheggiamo in zona Union Station, per visitare la famosa stazione dei treni. Scopriamo - collegandoci a internet e facendo la fatidica domanda: "Come funziona il disco orario a Los Angeles?" - che gli americani sono persone oneste, quindi non c'è bisogno di prove per dimostrare il rispetto dell'orario di sosta. Le persone, se parcheggiano lì, stanno due ore al massimo e se ne vanno. Noi decidiamo di comportarci allo stesso modo :-)
Prima di raggiungere la stazione, una coppia di sconosciuti, come poi accadrà molte altre volte, si sente in dovere di darci delle indicazioni non richieste, che noi seguiremo alla lettera. In questo caso il suggerimento ci permette di scoprire un angolo suggestivo della città, che non conoscevo, e cioè la zona più antica: El Pueblo. Una via piena di negozietti e bancarelle messicane, ristorantini tipici e anche le prime case costruite a Los Angeles. Passeggiare in quelle viette è davvero piacevole, visitiamo anche una casa "antica" - con dentro uno strano pianoforte, un finto cavallo, un  letto molto alto e un abito da sposa - finché ci ritroviamo in una piazzetta raccolta (a Los Angeles! Ho sempre detto che non c'erano piazze...) e un bel parco con al centro la statua di uno dei fondatori della città (o chi per esso) a cavallo.





Per il pomeriggio è prevista una sfilata in cui battezzano gli animali, o qualcosa del genere - lì c'è proprio il culto degli animali domestici che vengono trattati meglio dei bambini - alla quale però non parteciperemo. Avessimo avuto con noi Lola, chissà.
Andiamo poi alla stazione dei treni che è molto affascinante, facciamo la seconda colazione in una crèperia al suo interno, osserviamo le persone che passano, con incedere lento, in quello che sembra più un salotto di altri tempi misto a una libreria, trattenendo a fatica la voglia di prendere il primo treno e partire, così, senza una meta, solo per il gusto di immergerci, ancora di più, in quell'atmosfera da film. Purtroppo sono quasi trascorse le due ore di parcheggio, così corriamo all'auto - non si dica che gli italiani non rispettano le regole - e decidiamo di avvicinarci alla zona dei grattacieli. Solo che, non facciamo che qualche centinaio di metri, scopriamo di essere a ridosso del maestoso quartiere di China Town. La più grande China Town mai vista, così parcheggiamo ipnotizzati davanti a uno degli ingressi principali e ci inoltriamo in questo angolo d'oriente in pieno occidente.





Dopo una passeggiata in quello che, trovandoci negli Stati Uniti sembra un'allucinazione, riprendiamo l'auto e ci avviciniamo ai grattacieli; impostiamo il navigatore (Santo Subito) sulla Concert Hall e, visto che non c'è posto all'aperto, parcheggiamo al suo interno.




La struttura ha una forma davvero originale, hanno dovuto opacizzare le pareti esterne color acciaio perché abbagliava le auto e causava incidenti, ma anche opaca fa la sua bella figura e nel 2002 non esisteva ancora, per cui anche per me è stata una novità assoluta (insieme al Pueblo, China Town e la stazione). Scopro che andare in una città come turista è diverso che andarci a vivere. In pratica, nei sei mesi di diciassette anni prima, di Down Town non avevo visto nulla.
Giriamo in lungo e in largo le vie del centro, adoro i grattacieli, mi ricordano New York e il cuore di L.A. pulsa più forte che mai. Cerchiamo un Mc Donald per proseguire la collezione di pupazzetti che regalano con l'Happy Meal, ma quando lo cerchi non lo trovi mai. Giorgio allora imposta il navigatore a piedi e dopo una lunga camminata ci troviamo a casa di una signora Mc Donald, che non cucina ma vende assicurazioni. Giorgio ha rischiato il linciaggio - andare in giro con tre donne stanche e affamate non è il massimo, lo riconosco - però se ci penso rido ancora.






Finito il bel giro inaspettato proviamo ad andare all'Osservatorio, ma ci mettiamo tanto a tornare - muoversi a Los Angeles è diventato un incubo - quando arriviamo in cima alla collina non c'è parcheggio, di lasciare l'auto a due chilometri e poi salire a piedi non se ne parla, siamo stanchi e il jet leg, almeno a me, fa ancora venire voglia di andare a letto alle sei di sera. Così rimandiamo la gita al giorno seguente, torniamo all'appartamento dove Giorgio cucina qualcosa di squisito che io appena assaggio. Ho più sonno che appetito. Le bambine guardano Harry Potter, io chiudo gli occhi, li riapro. E' già il giorno dopo :-)