lunedì 15 novembre 2021

Una banconota da 5 Euro

 

Qualche giorno fa sono andata dall'altra parte di Milano a fare una visita importante. C'è un grande parcheggio in quella piazza, dove alcuni ragazzi di colore girano tra le macchine vendendo accendini o fazzoletti per pochi spiccioli. Uno di loro mi ha indicato un parcheggio, non avevo monetine così ho preso una banconota da 5€ e, a malincuore, gliel'ho messa in mano. Gli ho detto: "Curami la macchina". Quando sono tornata, dopo un'ora, lui era lì a curarmi la macchina. L'ho ringraziato ma non mi sentivo leggera, 5€ non sono tanti ma già la visita me n'era costati 190 e il dubbio di aver preso una multa passando da qualche zona a traffico limitato mi tormentava. Certe zone di Milano sono un delirio, non si capisce niente.
La stessa sera sono andata a prendere Giorgia in palestra, sono uscite le sue compagne di pallavolo, i loro genitori, io, esce lei.
Che cosa trova per terra?
Una banconota da 5€

Un pomeriggio a Cologno Monzese

 



Oggi passeggiavo con Lola in giro per Cologno, mentre Giulia era al corso di pittura. Ero in Via Milano e dall'altra parte della strada vedo un volto che conosco su un manifesto. Leggo "incontro di pugilato" e penso a quanto quel ragazzino somigli a Fabrizio. Strizzo gli occhi, metto a fuoco. Le macchine si fermano per farmi passare ma io rimango là imbambolata.
Fabry aveva 25 anni e io me lo ricordo ragazzo, più grande di me di tre anni, quasi un uomo; era il fidanzato di Miki e ricordo quando ci raccontava fiero la sua esperienza alle Olimpiadi di Barcellona; quando veniva da noi di corsa per dimagrire prima di un incontro perché era un peso piuma e non poteva superare i 67 chili. Ricordo quando Miki me lo fece lasciare per telefono e lui mi promise di darmele di santa ragione quando mi avesse incontrata per strada, perché mi ostinavo a non passargli Michela (al telefono fisso di casa sua), ma lei mi implorava di non farlo ed era la mia migliore amica. Ricordo l'abbraccio che mi diede quando lo incontrai davvero e tentai la fuga, temendo di prenderle da un pugile. Mi disse: "Stupida, pensavi davvero che ti picchiassi?"
Ricordo quando ci disse di essere nato il 14 novembre, per me un giorno maledetto, il giorno in cui era morto il fratello ventiseienne del mio ex fidanzato in un incidente stradale in cui perse la vita anche una sua amica. Ricordo l'angoscia che provai in quel momento. Un'ombra cupa calò sul salotto di casa di Miki, dove eravamo riuniti a guardare un film.
Fabrizio morì dopo un incontro di boxe nel 1996, tre giorni dopo il suo 25º compleanno: collassò dopo l'incontro davanti ai nostri occhi. Michela mori il 14 novembre del 2010, a 36 anni.
Oggi davanti a quel manifesto ho pianto in mezzo alla strada. Ho pianto per Fabry, che non è diventato uomo. Ho pianto per Miki che se n'è andata senza una ruga o un capello bianco.
Poi ho sentito forte il profumo di zia Maria e la disperazione è diventata malinconia, la malinconia rassegnazione. La rassegnazione speranza che ci sia qualcosa di là, che mia zia mi è sempre vicina e Miki e Fabrizio se la stanno spassando.
Complimenti al Comune di Cologno per aver deciso di intitolare il Palazzetto dello Sport a un bravo ragazzo, un grande sportivo, un amico. Un angelo chiamato Fabrizio De Chiara

La luna e i falò



Non avevo mai letto Pavese. L'avevo sentito nominare, da ragazza, in una canzone di Cocciante; c'era un ristorantino chic a Brugherio, che si chiamava La Luna e i Falò. Lessi da qualche parte che la Luna e i Falò era stato l'ultimo libro scritto da Pavese, uscito tre mesi prima del suo suicidio. Pavese era famoso, probabilmente ricco, colto a non finire, eppure si suicidò nel 1950, più o meno alla mia età. Lasciò scritto: "Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi".
Avevo questo suo libro da un po'. In questi giorni, dopo forse tre anni, ho avuto un forte raffreddore, così ieri - dopo essermi fatta un tampone risultato negativo - mi sono messa sul divano con la tisana e la copertina. Ho preso questo libro e mi sono lasciata cullare dalla poesia di Pavese. Da quel suo ritorno immaginario nella sua terra natia, dalla nostalgia provata nel ritrovare i posti ma non le persone. Un tuffo in quei suoi ricordi di campagna che sono caldi e avvolgenti, che sollevano un poco finché non ci si rende conto che niente ritornerà. Che oggi in quei posti vivono altre persone e faranno le stesse cose senza rendersi conto che ciò che hanno, anche le cose più semplici, anche quelle che fanno soffrire, un giorno gli mancheranno. Mancherà la gioventù, anche se difficile, anche se da giovani non si vede l'ora di crescere e realizzarsi e magari scappare per poi tornare e dimostrare quanto si è diventati grandi. Ma dimostrarlo a chi?
Ieri con la copertina e la tisana calda, Pavese mi ha guarita. Avrei voluto parlargli, dirgli che lo capivo e provare a fermarlo. Negli ultimi anni è diventata la mia ossessione: provare a fermare chi sta per togliersi la vita, anche se il gesto è già stato compiuto e non c'è più niente da fare.
Non è un libro facile, ci sono molte parole in piemontese, modi di dire, riferimenti storici e culturali... è tutto un leggere le note che accompagnano il testo. Più che altro all'inizio. Superato il primo ostacolo la lettura diventa un dono che si fa a se stessi

11 anni senza di te



Michela era una ragazza molto dolce. Era allegra e spensierata, a differenza mia che sono sì allegra ma ansiosa. Soffro d'ansia dall'infanzia, e lei mi diceva sempre: "Ma sì, cosa vuoi che sia. Non ci pensare". Lei era così, viveva il presente senza flagellarsi di malinconia o preoccuparsi per il futuro. Viveva con leggerezza, bellezza, armonia. Aveva quell'unica mania della linea, ci teneva a essere magrissima e rinunciava ai piaceri del cibo. Ogni volta che ordinava una pizza senza condimento ci litigavo.

Michela era una persona sincera, semplice, ironica. Aveva quel difetto di chiudere per sempre con le persone quando la facevano arrabbiare. Ce ne voleva per farla arrabbiare, ma quando succedeva chiudeva per sempre. Una cosa inconcepibile per me, che faccio tanto baccano ma due giorni dopo una litigata ne dimentico il motivo, ma io e lei eravamo diverse. Per questo eravamo inseparabili.

Michela era una ragazza molto buona, molto bella, molto sfortunata. È morta per un errore medico, per un tumore al seno diagnosticatole con un anno di ritardo.

Michela era una persona unica nella mia vita, come una sorella e io le parlo ancora, le parlo sempre, perché senza di lei non saprei chi sono io.

Sono passati 11 anni. Pioveva anche allora.

In un angolino dentro di me piove sempre da allora