venerdì 30 dicembre 2016

2016




Mi volto a guardare l'anno che sto per lasciare negli occhi
sono morti personaggi famosi a palate
e cantanti
per non parlare dell'olocausto in Siria
e della strage di migranti.
Molte persone a me molto care hanno sofferto
per la perdita di un figlio 
(ebbene sì, non sono stati risparmiati neanche i bambini)
papà e giovani mamme.

Ma io
nel mio piccolo
non posso lamentarmi.
È stato l'anno delle amicizie
quello in cui ho riscoperto questo sentimento che pensavo sepolto.
La vita mi ha messo davanti delle brave persone
buone, divertenti, oneste
persone che mi accettano così come sono
e io non vorrei che cambiassero
anzi
vorrei diventare un po’ più simile a loro.

L'anno dell’amicizia 
mi ha mostrato con chiarezza eclatante le amicizie vere
sincere
e ha allontanato quelle conoscenze prive d'amore
con cui avevo a che fare chissà per quale motivo, con quale intento,
forse solo per sbaglio.

L'anno dell’amicizia 
sarebbe bastato a rendere quest'anno migliore degli altri
invece
ho anche letto un libro intitolato I MISERABILI 
conosciuto Jean Valjan che mi ha insegnato molto e resterà con me per sempre.
Ho ascoltato musica tutti i santi giorni
guardato poca tv
trascorso troppo tempo su internet.
Ho viaggiato tanto
trascorso un mese tra i monti
rivisto Santorini, Mykonos e Corfù.
Ho visitato per la prima volta New York
realizzando così il sogno di una vita.
Mi sono goduta le mie figlie ogni giorno.
Anche quest'anno ho potuto accompagnarle personalmente a scuola
e sono andata a riprendermele
senza tate, nonne, babysitter.
Le ho portate in piscina, a pittura, a danza e a inglese
ho condiviso parte delle mie notti con loro
abbiamo dormito abbracciate
le facce schiacciate
i gomiti nelle costole
i sogni mescolati.
Non c'è niente di più bello al mondo di addormentarsi in due - abbracciati stretti - e svegliarsi in quattro, ancora più stretti.

Ho conosciuto persone grandi, finalmente dal vivo!
Ho lavorato all'editing del romanzo che sto per pubblicare
ho iniziato a bere birra (come ho potuto vivere 41 anni senza??)
ho riso per tre quarti del tempo
ho corso, camminato, nuotato,
scoperto qualche angolo nascosto della splendida Milano
Ho amato Giorgio e la pallavolo
scalato il Monte Alben :-)
Insomma
è stato un anno felice
se guardo la mia piccola vita.
Se guardo fuori, tra cancro, migrazioni, terremoti e guerre...
Un amico, che considero il mio padre spirituale da qualche anno, dice che non devo lasciarmi incupire da ciò che accade fuori, la storia è sempre stata pregna di ingiustizie e disperazioni. Dobbiamo sforzarci di mantenerci limpidi e positivi, emanare luce più che possiamo per contrastare il nero di questo nuovo Medioevo.
Sono felice delle mie piccole cose, non odio nessuno e mi sforzo di non provare antipatia neanche per i razzisti, i bigotti, i cervellini piccoli così. Di certo non li frequento, ma non li detesto. Mi limito a compatirli. 

Ho scoperto il valore del bene a ogni costo, mi hanno insultato per questo, chiamato buonista, sempre meglio che cattivista.
Ciao anno quasi passato,
amico buono
anno del gioco, dell'amicizia e del tempo goduto.
Quando ritornerai, ti voglio esattamente così. Magari con qualche disgrazia in meno.

martedì 27 dicembre 2016

E sono quarantad...ventinove!


"Quei piccoli fraintendimenti della vita" di Antonio De Giovanni



Questo è uno dei pochi romanzi rosa che ho letto. Non è il mio genere eppure l'ho trovato molto interessante. Intanto perché è scritto da un uomo, quindi i patemi amorosi, i ragionamenti e l'interiorità maschile mi incuriosiscono non poco, soprattutto quando hanno a che vedere con l'amore, sentimento di cui il personaggio principale teme il legame che ne consegue. Tommaso è uno spirito libero e in questo libro trova uno spirito ancora più libero del suo, di nome Michela, che lo farà impazzire. La storia è ambientata tra il lago di Varese e Milano, in uno scenario attuale fatto di pendolari, uffici, esperti pubblicitari, rapporti di lavoro che diventano di amicizia profonda, viste anche le ore che Tommaso, come molti di noi, è costretto a condividere con i colleghi. Lo stile è scorrevole e fresco; il taglio ironico anche nel dramma che a un certo punto travolge l'equilibrio precario di Tommaso lo rende particolarmente piacevole. La storia è ricca di situazioni fuori dall'ordinario e colpi di scena, e il finale, in cui si ribalta completamente l'impianto narrativo, è veramente eclatante. A fine libro viene voglia di ricominciare da capo utilizzando il nuovo, inatteso punto di vista, e cogliere le sfaccettature che senza le rivelazioni finali inevitabilmente si perdono. Il mio consiglio è di leggerlo con lentezza e attenzione già la prima volta, senza lasciarsi ingolosire dalla trama e divorarlo, come ha fatto la sottoscritta :-)


martedì 20 dicembre 2016

"Cimitero di elefanti" di Antonio Traficante

E dopo la video recensione, adesso che ce l'ho finalmente tra le mani, ecco la recensione scritta. Scusate se insisto ma questo è un libro in cui credo molto.



 
 
Avevo già letto un bel libro dello stesso autore, intitolato "Fuga dal destino". Sapevo che c'era nell'aria un nuovo romanzo, storico questa volta. L'ho letto in un giorno e una notte nonostante la mole. Che dire, mi ha sconvolto, tanto da farmelo paragonare a Furore. In quel caso, come suppongo sappiate TUTTI (ritengo Furore imprescindibile) viene affrontato l’esodo dei disperati che dal centro degli Stati Uniti si spostarono sulle coste a causa delle carestie e la conseguente perdita delle terre; in questo caso l'esodo è quello dei disperati moderni. Basta guardare un telegiornale per vederlo. Barconi stracolmi di persone che affrontano il Mediterraneo, molte volte senza superarlo, rendendo quel mare sempre più un cimitero. Qualcuno non solo pensa ma ha anche il coraggio di dire che questi profughi abbandonano le loro terre e affrontano il mare, senza saper nuotare, per un posto comodo in hotel e un iPhone; per questo è importante che questo romanzo venga letto, per avere una visione approfondita e schietta del fenomeno. Nel libro non viene espresso alcun giudizio ma vengono analizzati i fatti attraverso due protagoniste, Mary e Sofia, che ci offrono un mirabile doppio punto di vista del dramma. Due ragazze che sono sorelle e vivono agli antipodi della tragedia: Somalia e Italia; la prima si troverà ad affrontare uno di quei terribili viaggi non da profuga ma da fuggitiva, seguita dai servizi segreti a causa di uno scandalo internazionale che riguarda armi e rifiuti tossici, in cui è coinvolto il padre. L’altra è una poliziotta che arranca all’accoglienza di Lampedusa, frustrata, preoccupata e con una difficile situazione sentimentale che nelle brevi digressioni erotiche alleggerisce il romanzo, che è davvero impegnativo.
Il fenomeno è analizzato nei minimi dettagli da entrambi i punti di vista e sembra davvero di essere lì, di percepire il sapore di bruciato, il mare alla gola, la ferocia del deserto, il caos che regna in quei luoghi, così lontani tra loro eppure non molto diversi.
Un libro che fa riflettere.
Secondo me è imperdibile.

I guardiani delle rose, ultime pillole :-)



«Allora, cosa aspetti? Vieni, sono arrivati!» la incalzò sua sorella, che apparve accanto a lei.
Rosa riconobbe Michela riflessa nello specchio.
La vide svanire.
Tornò sul proprio volto. I contorni si fecero ondulati, persero nitidezza. Come se si stesse osservando nella superficie di un lago. Ma l’acqua non rifletteva un cielo azzurro, né grigio. Sembrava rosa. E come in un mulinello l’acqua cominciò a roteare, e non era più un liquido ma polvere, simile a sabbia ma molto più vellutata e sottile.
Nel giro di un niente, quel vortice la risucchiò nello specchio. E fu il silenzio.

venerdì 16 dicembre 2016

"I guardiani delle rose" in pillole...






«Non sei andato al lavoro?» chiese Rosa allarmata appena lo vide....
David aveva come una specie di tremarella addosso. Gli occhi iniettati di sangue. Rosa si accostò alla poltrona sulla quale era seduto. Gli si inginocchiò accanto. Si accorse che aveva bevuto più del solito.
Prima che avesse il tempo di parlare, di scusarsi forse, vide la mano di David precipitare in caduta libera sul suo volto. Un istante dopo udì l’eco di uno schiaffo. L’aveva colpita con tutta la forza che aveva, tanto da spostarla di mezzo metro.
«Ti ha dato di volta il cervello?» urlò incredula. Si accarezzò la guancia divenuta fuoco. «Mi hai colpita, bastardo!»
David per tutta risposta si alzò dalla poltrona e la afferrò per i capelli.
«Prova a insultarmi di nuovo» biascicò, «a uscire ancora con quella faccia da turco… prova a disobbedirmi un’altra volta e sei morta. Te lo giuro, ti ammazzo.»
Rosa stentò a credere alle proprie orecchie. Sembrava posseduto da un demone. In un lampo le passarono davanti i bei giorni di Milano, la dolcezza delle sue parole quando le prometteva l’America, quel suo sguardo così pieno d’amore. Come accade prima di morire, rivide la loro breve felicità in poche, strazianti immagini. L’uomo che aveva davanti non era il protagonista dei suoi ricordi; non poteva essere la stessa persona. Perfino il viso era trasfigurato. Dov’era finito il suo David?

martedì 13 dicembre 2016

La più bella lettera d'amore di tutti i tempi

Scritta da Alessandro Milan, un giornalista di Radio 24 che ammiro moltissimo. Una lettera in cui saluta sua moglie, morta a 42 anni - la mia età - sconfitta dal cancro, come Miki.
Questa lettera è di una bellezza incredibile. Semplice, pura, piena d'amore. Da ieri non faccio che leggerla e piangere, soffro per i suoi bambini rimasti senza madre, per il marito e per lei, che amava la vita. Che non avrà la fortuna di vedere crescere i suoi figli. Che non vedrà mai più un tramonto.




Ecco la lettera:

"A FRANCESCA
Non vi racconterò stupide favolette. Wondy ha perso la battaglia. Perché lei voleva vivere. Francesca amava follemente vivere. Di più: non ho mai conosciuto una persona più attaccata di lei alla vita. Sempre gioiosa, sempre sorridente, sempre ottimista, sempre propositiva, sempre sul pezzo, sempre avanti.
In studio, a casa, c'è il faldone in cui ha raccolto sei anni di referti dellamalattia. Catalogata così: "Tumore franci :-)"
Poco prima di andarsene, tra i sospiri, ha detto a un medico: "Siamo vicini a Natale, se non erro. Se lo goda tanto, lei che può. Io purtroppo sono qui". Però, dopo mezz'ora, mi ha chiesto se il tal primario che tanto le vuole bene avesse dei figli. "Ma perché lo vuoi sapere?" E non scorderò mai quel gesto lento delle mani che roteano e la bocca che si corruccia. "Così... gossip".
Questa era lei. Altruista fino all'estremo. Curiosa con purezza.
Era il mio Harry Potter. La chiamavo così, sul cellulare è ancora registrata con questo nome. Era il 2002, un giorno imprecisato. Entrai in casa e la vidi di spalle, ricurva sui libri, mentre studiava per prendere la seconda laurea. "Sembri Harry Potter!" esclamai. Una somiglianza fisica. Da allora, per me, è Harry.
Wondy, Harry Potter.
Franci. Moglie mia, hai perso la battaglia dunque. Ma hai lasciato tanto. A me due splendidi bambini, al mondo una forza incrollabile, una positività che emanava luce. Sfido chiunque ti abbia conosciuta a raccontarmi una volta in cui ti ha vista o sentita piegata dalla vita.
"Ho avuto una vita piena - mi dicevi in ultimo -. Ho fatto il lavoro che volevo, ho scritto libri, ho avuto una bella famiglia, ho viaggiato in mezzo mondo". Però aggiungevi anche che "certo, è dura accettare tutto questo. Mi spiace un po' non vedere crescere i bambini. Pazienza...". Ma io so che avresti voluto urlare di rabbia, perché tu volevi vivere ancora a lungo.
Hai sorriso. Fino all'ultimo secondo, fino a quando la morfina non ti ha stritolata, hai sorriso quando ti dicevo di chiudere gli occhi e tenermi per mano sulle spiagge di Samara, in Costarica; nelle praterie del Kruger a cercare leoni, tra i coralli delle Perenthian a scovare squali, nelle viuzze della Rocinha a scrutare umanità, nelle cascate giamaicane, nei templi induisti di Bali, nei mercatini di Chiang Mai, tra le casette variopinte del Pelourinho di Salvador, tra le pietre millenarie della via Dolorosa a Gerusalemme, insomma in uno qualsiasi degli infiniti luoghi in cui mi hai portato, sempre in cerca di vita e emozioni.
Mai una piega storta sul tuo volto. Eppure di motivi ne avresti avuti, eccome. Harry, hai vissuto un tale calvario negli ultimi sei anni... Un calvario vero, nascosto a tutti, celato dietro a uno sguardo luminoso e sbarazzino e a una cazzuta voglia di reagire. Non ricordo neppure quante operazioni hai subito, quante menomazioni fisiche, quante violazioni del corpo. Non so quante medicine tu abbia preso, quante infusioni di chemio, quante pastiglie, quanti buchi nelle vene, quante visite. Non ne hai mai fatto pesare mezza. A me, prima di tutto.
Per questo, ti ringrazio.
Non ti è stato risparmiato neppure un briciolo di strazio finale. E quando hai alzato entrambi gli indici delle mani al cielo dicendo "ma perché è così faticoso arrivare lassù?", beh sappi che ti ci avrei portata in braccio.
Sì, è vero, Wondy ha perso la battaglia. Ma ha anche trionfato. Perché il mio Harry ha combattuto il tumore proprio da Wonder Woman. Ora vi svelo una cosa che quasi nessuno sa: tre giorni prima di presentarsi alle 'Invasioni Barbariche' da Daria Bignardi ricevette l'ennesima brutta notizia. Una recidiva, l'ennesima operazione, la radioterapia in vista. Ricordo i consulti nel lettone: che si fa, vado? Non vado? Io le dissi che avrebbe potuto annullare tutto, avrebbero capito. Al solito, fece di testa sua. Andò in tv con un unico obiettivo: 'NON devo piangere, a nome di tutte le donne'. E alla inevitabile domanda "Ma ora come stai?" sfoggiò il solito disarmante sorriso: "Bene, grazie!". Lei sorrideva. Io, solo, a casa davanti alla tv, piangevo. Due giorni dopo, era in sala operatoria. Il consueto rituale con i medici, le solite battute sulla Mont Blanc dell'anestesista, la degenza, il ritorno a casa, le terapie, il nuovo viaggio da programmare...
Da tutta questa sofferenza ha tenuto lontani tutti, il più possibile. A cominciare dai nostri magnifici Angelica e Mattia. La Iena e l'Unno.
Lo so che le persone sono stupite. "Ma stava così bene!". No, non stava bene. Ogni tre settimane in ospedale si sottoponeva a esami del sangue (un buco in vena ogni 20 giorni, con la prospettiva che fosse per tutta la vita) con annessa visita e responso sulla possibile avanzata del tumore (e ogni volta il sospiro di sollievo: "Bene, dai, è fermo, chissà tra 20 giorni"); ogni tre mesi faceva una risonanza ("Sai che c'è gente che quando arriva il mezzo di contrasto nelle vene si fa la pipì addosso? A me non è mai successo, bene dai"); ogni giorno prendeva 4 pastiglie di farmaco sperimentale per tenere sotto controllo le metastasi (fanno 1460 pastiglie l'anno, con la prospettiva che fosse per sempre). Non stava bene. Solo che non lo diceva. Solo che consolava gli altri. Lei.
Più il tumore avanzava, più lei scovava motivi e occasioni per fare feste, organizzare eventi, viaggi, iniziative. "Chissà quanto vivrò ancora, avanti: festeggiamo".
Era, anche, una grandissima rompicoglioni. E questo i suoi migliori amici possono confermarlo al 130%.
Ogni tanto crollava, sì, anche lei. Soprattutto quando l'ultima battaglia la stava per abbattere. "Che destino, ogni volta che faccio una cosa bella, arriva una botta". L'ultima cosa bella era il romanzo "Breve storia di due amiche per sempre".
La vedo all'opposto, Harry. Come ti ho detto, la verità è che nessuno al mondo, nella tua sofferenza, avrebbe avuto la straordinaria forza che hai avuto tu di scrivere due libri, fare viaggi, progettare, sognare. Io non avrei combinato un centesimo di quel che hai fatto tu.
Ricordo il giorno in cui dovevi presentare il tuo ultimo libro, e un'ora prima della presentazione ti ho trovata mentre confabulavi al telefono con qualcuno, entusiasta. Quando hai messo giù, ho scrutato quel lampo malandrino tipico dei tuoi occhi, non ti ho fatto domande ma tu mi hai preceduto: "Stavo raccontando all'editor la trama del mio prossimo romanzo: sarà una figata!" Ho scosso la testa e ti ho lasciato lì: al tuo nuovo sogno.
Ora vai. Mi hai guardato negli occhi, quando eravamo vicini all'ultimo chilometro, e mi hai detto: "Spero solo, almeno, di lasciare in te e nei bambini un bel ricordo".
Lasci qualcosa di più: mi hai semplicemente insegnato come si vive. Non imparerò mai, puoi scommetterci, ma ti prometto che ce la metterò tutta.
Lascio da parte le migliaia di immagini nostre, intime. Tranne una. Domenica 11 dicembre, alle 5, ti ho sognata. Eri serena come non ti vedevo da mesi. Mi parlavi, ci abbracciavamo, io piangevo tanto, tu mi hai ringraziato perché hai potuto parlare con Chiara e Sara. Eri tranquilla, anche se avevi "questo ciuffo matto" nella testa. Poi sei partita per un viaggio tutto tuo, verso chissà dove.
Devo dire di cuore dei grazie, e nel farlo dimenticherò tante persone.
Le amiche e gli amici veri, loro sanno a chi mi rivolgo.
In un Paese vergognosamente anti scientifico, mi inchino alla competenza e alla preziosa umanità scovata all'Ospedale Humanitas: alle infermiere e agli infermieri, o candidi angeli, un immenso grazie! Anche per i sontuosi caffè con la moka, come se li avessi bevuti. Avete pianto con me, non lo dimenticherò mai.
I medici: Andrea, Barbara, Corrado, Cristiana, Francesco, Marco K., Monica, Pietro. Ancora: Marco R., scusa se spesso ti ho trattato da Frate Indovino e non da splendido UomoDottore quale sei; Vittorio, vabbè Vittorio... Zione putativo, ti dirò sempre un 'grazie' in meno di quanti ne meriteresti. Ridi, ti prego.
Infine: Silvia. La Doc. La Scienza. Tu sei stata una delle scoperte più belle della nostra recente vita. Tu e la tua bella famiglia. Hai fatto tantissimissimissimo. Ricordati che mi devi togliere ancora quelle due cose o quella là continua a rompere il cazzo.
E poi, Maria Giovanna. Nel cuore di Franci avevi un palchetto d'onore tutto tuo, con le tue 'pozioni magiche', le tue visioni, le tue parole profonde e precise, i tuoi consigli sempre azzeccati. Per osmosi, sarai sempre anche in me.
Non piangete, medici, non piangete infermieri. E sappiate che se ci fossero anche solo 100 persone come voi in ogni professione, il mondo sarebbe un posto molto migliore.
Non ringrazio chi, senza neppure conoscermi, in un giorno che voglio dimenticare di inizio novembre mi ha detto con freddezza, senza neppure sfiorarmi, che mia moglie sarebbe morta nel giro di un mese, massimo tre, perché lo dicono le statistiche. Mi hai fatto piangere troppo e prima del necessario. Non si fa. Ma spero che migliorerai negli anni.
Ringrazio infine tutti coloro che hanno capito il motivo per cui ho voluto proteggere il mio Harry all'ultima curva. Non potevo fare più nulla, per lei, se non una cosa: preservarne la dignità, proteggerne il silenzio e il sorriso appena un po' incrinato. Se avessi fatto diversamente, esponendola, non me lo sarei perdonato per il resto dei miei giorni. Di più, avrei violato un suo preciso volere. Non si fa, se si ama.
Se avete capito, bene, altrimenti: amen.
Ora vai, Harry. Che la Vita finalmente ti sorrida un po'. Veglia sui tuoi bimbi, sorreggili, guidali.
Vai lassù, faccia da ranocchia. Porta anche Leo, il neo. Ciao, nasino freddo.
Tic-ti-tic. Tic-ti-tic. Le senti, le fedi che si sbaciucchiano?
Prometto di rispettare le tue ultime volontà. Tranne una. Perdonami.
Prometto di prendermi cura dei nostri bambini.
Prometto di portarti sempre con me.
Ti chiedo un ultimo sforzo: da lassù getta sul capo di ognuno di noi una goccia del tuo inesauribile ottimismo. Basterà e avanzerà per capire come si vive sorridendo.
Se poi, tu e Rudy, vorrete buttarci giù anche una goccia di mojito, ci terremo pure quella.
Alla tua. Alla vostra.
Mi vivi dentro.
Tuo, Ale."

venerdì 9 dicembre 2016

"I guardiani delle rose" in pillole... Dal prologo




Al check-in la hostess si trovò davanti la disperazione fatta persona. Una bella donna - ragazza - sui venticinque anni.
Una disperazione che non sapeva di morte, ma più di cuore spezzato. Squadrò l’ambiguo accompagnatore accanto alla giovane donna. Provò a immaginarlo gonfio di botte, gli occhi pesti, le labbra spaccate e sanguinanti. Questo le diede sollievo. 
Era lui la causa di tanto dolore.
Lei piangeva senza ritegno, e lui mal celava il suo finto dispiacere. 
Un mentitore nato. Un altro aspirante attore arrivato a Los Angeles chissà da quale angolo del mondo, con il suo bagaglio di sogni inutili. 
Inutili quanto lui; anzi, molesti. 
Un bel ragazzo sui trent’anni, quel mattino accompagnava la disperazione fatta donna all’aeroporto internazionale di Los Angeles: il mastodontico LAX. 
Un uomo fine, a modo. 
Faccia da bravo ragazzo.
Un figlio di puttana.