venerdì 30 dicembre 2016

2016




Mi volto a guardare l'anno che sto per lasciare negli occhi
sono morti personaggi famosi a palate
e cantanti
per non parlare dell'olocausto in Siria
e della strage di migranti.
Molte persone a me molto care hanno sofferto
per la perdita di un figlio 
(ebbene sì, non sono stati risparmiati neanche i bambini)
papà e giovani mamme.

Ma io
nel mio piccolo
non posso lamentarmi.
È stato l'anno delle amicizie
quello in cui ho riscoperto questo sentimento che pensavo sepolto.
La vita mi ha messo davanti delle brave persone
buone, divertenti, oneste
persone che mi accettano così come sono
e io non vorrei che cambiassero
anzi
vorrei diventare un po’ più simile a loro.

L'anno dell’amicizia 
mi ha mostrato con chiarezza eclatante le amicizie vere
sincere
e ha allontanato quelle conoscenze prive d'amore
con cui avevo a che fare chissà per quale motivo, con quale intento,
forse solo per sbaglio.

L'anno dell’amicizia 
sarebbe bastato a rendere quest'anno migliore degli altri
invece
ho anche letto un libro intitolato I MISERABILI 
conosciuto Jean Valjan che mi ha insegnato molto e resterà con me per sempre.
Ho ascoltato musica tutti i santi giorni
guardato poca tv
trascorso troppo tempo su internet.
Ho viaggiato tanto
trascorso un mese tra i monti
rivisto Santorini, Mykonos e Corfù.
Ho visitato per la prima volta New York
realizzando così il sogno di una vita.
Mi sono goduta le mie figlie ogni giorno.
Anche quest'anno ho potuto accompagnarle personalmente a scuola
e sono andata a riprendermele
senza tate, nonne, babysitter.
Le ho portate in piscina, a pittura, a danza e a inglese
ho condiviso parte delle mie notti con loro
abbiamo dormito abbracciate
le facce schiacciate
i gomiti nelle costole
i sogni mescolati.
Non c'è niente di più bello al mondo di addormentarsi in due - abbracciati stretti - e svegliarsi in quattro, ancora più stretti.

Ho conosciuto persone grandi, finalmente dal vivo!
Ho lavorato all'editing del romanzo che sto per pubblicare
ho iniziato a bere birra (come ho potuto vivere 41 anni senza??)
ho riso per tre quarti del tempo
ho corso, camminato, nuotato,
scoperto qualche angolo nascosto della splendida Milano
Ho amato Giorgio e la pallavolo
scalato il Monte Alben :-)
Insomma
è stato un anno felice
se guardo la mia piccola vita.
Se guardo fuori, tra cancro, migrazioni, terremoti e guerre...
Un amico, che considero il mio padre spirituale da qualche anno, dice che non devo lasciarmi incupire da ciò che accade fuori, la storia è sempre stata pregna di ingiustizie e disperazioni. Dobbiamo sforzarci di mantenerci limpidi e positivi, emanare luce più che possiamo per contrastare il nero di questo nuovo Medioevo.
Sono felice delle mie piccole cose, non odio nessuno e mi sforzo di non provare antipatia neanche per i razzisti, i bigotti, i cervellini piccoli così. Di certo non li frequento, ma non li detesto. Mi limito a compatirli. 

Ho scoperto il valore del bene a ogni costo, mi hanno insultato per questo, chiamato buonista, sempre meglio che cattivista.
Ciao anno quasi passato,
amico buono
anno del gioco, dell'amicizia e del tempo goduto.
Quando ritornerai, ti voglio esattamente così. Magari con qualche disgrazia in meno.

martedì 27 dicembre 2016

E sono quarantad...ventinove!


"Quei piccoli fraintendimenti della vita" di Antonio De Giovanni



Questo è uno dei pochi romanzi rosa che ho letto. Non è il mio genere eppure l'ho trovato molto interessante. Intanto perché è scritto da un uomo, quindi i patemi amorosi, i ragionamenti e l'interiorità maschile mi incuriosiscono non poco, soprattutto quando hanno a che vedere con l'amore, sentimento di cui il personaggio principale teme il legame che ne consegue. Tommaso è uno spirito libero e in questo libro trova uno spirito ancora più libero del suo, di nome Michela, che lo farà impazzire. La storia è ambientata tra il lago di Varese e Milano, in uno scenario attuale fatto di pendolari, uffici, esperti pubblicitari, rapporti di lavoro che diventano di amicizia profonda, viste anche le ore che Tommaso, come molti di noi, è costretto a condividere con i colleghi. Lo stile è scorrevole e fresco; il taglio ironico anche nel dramma che a un certo punto travolge l'equilibrio precario di Tommaso lo rende particolarmente piacevole. La storia è ricca di situazioni fuori dall'ordinario e colpi di scena, e il finale, in cui si ribalta completamente l'impianto narrativo, è veramente eclatante. A fine libro viene voglia di ricominciare da capo utilizzando il nuovo, inatteso punto di vista, e cogliere le sfaccettature che senza le rivelazioni finali inevitabilmente si perdono. Il mio consiglio è di leggerlo con lentezza e attenzione già la prima volta, senza lasciarsi ingolosire dalla trama e divorarlo, come ha fatto la sottoscritta :-)


martedì 20 dicembre 2016

"Cimitero di elefanti" di Antonio Traficante

E dopo la video recensione, adesso che ce l'ho finalmente tra le mani, ecco la recensione scritta. Scusate se insisto ma questo è un libro in cui credo molto.



 
 
Avevo già letto un bel libro dello stesso autore, intitolato "Fuga dal destino". Sapevo che c'era nell'aria un nuovo romanzo, storico questa volta. L'ho letto in un giorno e una notte nonostante la mole. Che dire, mi ha sconvolto, tanto da farmelo paragonare a Furore. In quel caso, come suppongo sappiate TUTTI (ritengo Furore imprescindibile) viene affrontato l’esodo dei disperati che dal centro degli Stati Uniti si spostarono sulle coste a causa delle carestie e la conseguente perdita delle terre; in questo caso l'esodo è quello dei disperati moderni. Basta guardare un telegiornale per vederlo. Barconi stracolmi di persone che affrontano il Mediterraneo, molte volte senza superarlo, rendendo quel mare sempre più un cimitero. Qualcuno non solo pensa ma ha anche il coraggio di dire che questi profughi abbandonano le loro terre e affrontano il mare, senza saper nuotare, per un posto comodo in hotel e un iPhone; per questo è importante che questo romanzo venga letto, per avere una visione approfondita e schietta del fenomeno. Nel libro non viene espresso alcun giudizio ma vengono analizzati i fatti attraverso due protagoniste, Mary e Sofia, che ci offrono un mirabile doppio punto di vista del dramma. Due ragazze che sono sorelle e vivono agli antipodi della tragedia: Somalia e Italia; la prima si troverà ad affrontare uno di quei terribili viaggi non da profuga ma da fuggitiva, seguita dai servizi segreti a causa di uno scandalo internazionale che riguarda armi e rifiuti tossici, in cui è coinvolto il padre. L’altra è una poliziotta che arranca all’accoglienza di Lampedusa, frustrata, preoccupata e con una difficile situazione sentimentale che nelle brevi digressioni erotiche alleggerisce il romanzo, che è davvero impegnativo.
Il fenomeno è analizzato nei minimi dettagli da entrambi i punti di vista e sembra davvero di essere lì, di percepire il sapore di bruciato, il mare alla gola, la ferocia del deserto, il caos che regna in quei luoghi, così lontani tra loro eppure non molto diversi.
Un libro che fa riflettere.
Secondo me è imperdibile.

I guardiani delle rose, ultime pillole :-)



«Allora, cosa aspetti? Vieni, sono arrivati!» la incalzò sua sorella, che apparve accanto a lei.
Rosa riconobbe Michela riflessa nello specchio.
La vide svanire.
Tornò sul proprio volto. I contorni si fecero ondulati, persero nitidezza. Come se si stesse osservando nella superficie di un lago. Ma l’acqua non rifletteva un cielo azzurro, né grigio. Sembrava rosa. E come in un mulinello l’acqua cominciò a roteare, e non era più un liquido ma polvere, simile a sabbia ma molto più vellutata e sottile.
Nel giro di un niente, quel vortice la risucchiò nello specchio. E fu il silenzio.

venerdì 16 dicembre 2016

"I guardiani delle rose" in pillole...






«Non sei andato al lavoro?» chiese Rosa allarmata appena lo vide....
David aveva come una specie di tremarella addosso. Gli occhi iniettati di sangue. Rosa si accostò alla poltrona sulla quale era seduto. Gli si inginocchiò accanto. Si accorse che aveva bevuto più del solito.
Prima che avesse il tempo di parlare, di scusarsi forse, vide la mano di David precipitare in caduta libera sul suo volto. Un istante dopo udì l’eco di uno schiaffo. L’aveva colpita con tutta la forza che aveva, tanto da spostarla di mezzo metro.
«Ti ha dato di volta il cervello?» urlò incredula. Si accarezzò la guancia divenuta fuoco. «Mi hai colpita, bastardo!»
David per tutta risposta si alzò dalla poltrona e la afferrò per i capelli.
«Prova a insultarmi di nuovo» biascicò, «a uscire ancora con quella faccia da turco… prova a disobbedirmi un’altra volta e sei morta. Te lo giuro, ti ammazzo.»
Rosa stentò a credere alle proprie orecchie. Sembrava posseduto da un demone. In un lampo le passarono davanti i bei giorni di Milano, la dolcezza delle sue parole quando le prometteva l’America, quel suo sguardo così pieno d’amore. Come accade prima di morire, rivide la loro breve felicità in poche, strazianti immagini. L’uomo che aveva davanti non era il protagonista dei suoi ricordi; non poteva essere la stessa persona. Perfino il viso era trasfigurato. Dov’era finito il suo David?

martedì 13 dicembre 2016

La più bella lettera d'amore di tutti i tempi

Scritta da Alessandro Milan, un giornalista di Radio 24 che ammiro moltissimo. Una lettera in cui saluta sua moglie, morta a 42 anni - la mia età - sconfitta dal cancro, come Miki.
Questa lettera è di una bellezza incredibile. Semplice, pura, piena d'amore. Da ieri non faccio che leggerla e piangere, soffro per i suoi bambini rimasti senza madre, per il marito e per lei, che amava la vita. Che non avrà la fortuna di vedere crescere i suoi figli. Che non vedrà mai più un tramonto.




Ecco la lettera:

"A FRANCESCA
Non vi racconterò stupide favolette. Wondy ha perso la battaglia. Perché lei voleva vivere. Francesca amava follemente vivere. Di più: non ho mai conosciuto una persona più attaccata di lei alla vita. Sempre gioiosa, sempre sorridente, sempre ottimista, sempre propositiva, sempre sul pezzo, sempre avanti.
In studio, a casa, c'è il faldone in cui ha raccolto sei anni di referti dellamalattia. Catalogata così: "Tumore franci :-)"
Poco prima di andarsene, tra i sospiri, ha detto a un medico: "Siamo vicini a Natale, se non erro. Se lo goda tanto, lei che può. Io purtroppo sono qui". Però, dopo mezz'ora, mi ha chiesto se il tal primario che tanto le vuole bene avesse dei figli. "Ma perché lo vuoi sapere?" E non scorderò mai quel gesto lento delle mani che roteano e la bocca che si corruccia. "Così... gossip".
Questa era lei. Altruista fino all'estremo. Curiosa con purezza.
Era il mio Harry Potter. La chiamavo così, sul cellulare è ancora registrata con questo nome. Era il 2002, un giorno imprecisato. Entrai in casa e la vidi di spalle, ricurva sui libri, mentre studiava per prendere la seconda laurea. "Sembri Harry Potter!" esclamai. Una somiglianza fisica. Da allora, per me, è Harry.
Wondy, Harry Potter.
Franci. Moglie mia, hai perso la battaglia dunque. Ma hai lasciato tanto. A me due splendidi bambini, al mondo una forza incrollabile, una positività che emanava luce. Sfido chiunque ti abbia conosciuta a raccontarmi una volta in cui ti ha vista o sentita piegata dalla vita.
"Ho avuto una vita piena - mi dicevi in ultimo -. Ho fatto il lavoro che volevo, ho scritto libri, ho avuto una bella famiglia, ho viaggiato in mezzo mondo". Però aggiungevi anche che "certo, è dura accettare tutto questo. Mi spiace un po' non vedere crescere i bambini. Pazienza...". Ma io so che avresti voluto urlare di rabbia, perché tu volevi vivere ancora a lungo.
Hai sorriso. Fino all'ultimo secondo, fino a quando la morfina non ti ha stritolata, hai sorriso quando ti dicevo di chiudere gli occhi e tenermi per mano sulle spiagge di Samara, in Costarica; nelle praterie del Kruger a cercare leoni, tra i coralli delle Perenthian a scovare squali, nelle viuzze della Rocinha a scrutare umanità, nelle cascate giamaicane, nei templi induisti di Bali, nei mercatini di Chiang Mai, tra le casette variopinte del Pelourinho di Salvador, tra le pietre millenarie della via Dolorosa a Gerusalemme, insomma in uno qualsiasi degli infiniti luoghi in cui mi hai portato, sempre in cerca di vita e emozioni.
Mai una piega storta sul tuo volto. Eppure di motivi ne avresti avuti, eccome. Harry, hai vissuto un tale calvario negli ultimi sei anni... Un calvario vero, nascosto a tutti, celato dietro a uno sguardo luminoso e sbarazzino e a una cazzuta voglia di reagire. Non ricordo neppure quante operazioni hai subito, quante menomazioni fisiche, quante violazioni del corpo. Non so quante medicine tu abbia preso, quante infusioni di chemio, quante pastiglie, quanti buchi nelle vene, quante visite. Non ne hai mai fatto pesare mezza. A me, prima di tutto.
Per questo, ti ringrazio.
Non ti è stato risparmiato neppure un briciolo di strazio finale. E quando hai alzato entrambi gli indici delle mani al cielo dicendo "ma perché è così faticoso arrivare lassù?", beh sappi che ti ci avrei portata in braccio.
Sì, è vero, Wondy ha perso la battaglia. Ma ha anche trionfato. Perché il mio Harry ha combattuto il tumore proprio da Wonder Woman. Ora vi svelo una cosa che quasi nessuno sa: tre giorni prima di presentarsi alle 'Invasioni Barbariche' da Daria Bignardi ricevette l'ennesima brutta notizia. Una recidiva, l'ennesima operazione, la radioterapia in vista. Ricordo i consulti nel lettone: che si fa, vado? Non vado? Io le dissi che avrebbe potuto annullare tutto, avrebbero capito. Al solito, fece di testa sua. Andò in tv con un unico obiettivo: 'NON devo piangere, a nome di tutte le donne'. E alla inevitabile domanda "Ma ora come stai?" sfoggiò il solito disarmante sorriso: "Bene, grazie!". Lei sorrideva. Io, solo, a casa davanti alla tv, piangevo. Due giorni dopo, era in sala operatoria. Il consueto rituale con i medici, le solite battute sulla Mont Blanc dell'anestesista, la degenza, il ritorno a casa, le terapie, il nuovo viaggio da programmare...
Da tutta questa sofferenza ha tenuto lontani tutti, il più possibile. A cominciare dai nostri magnifici Angelica e Mattia. La Iena e l'Unno.
Lo so che le persone sono stupite. "Ma stava così bene!". No, non stava bene. Ogni tre settimane in ospedale si sottoponeva a esami del sangue (un buco in vena ogni 20 giorni, con la prospettiva che fosse per tutta la vita) con annessa visita e responso sulla possibile avanzata del tumore (e ogni volta il sospiro di sollievo: "Bene, dai, è fermo, chissà tra 20 giorni"); ogni tre mesi faceva una risonanza ("Sai che c'è gente che quando arriva il mezzo di contrasto nelle vene si fa la pipì addosso? A me non è mai successo, bene dai"); ogni giorno prendeva 4 pastiglie di farmaco sperimentale per tenere sotto controllo le metastasi (fanno 1460 pastiglie l'anno, con la prospettiva che fosse per sempre). Non stava bene. Solo che non lo diceva. Solo che consolava gli altri. Lei.
Più il tumore avanzava, più lei scovava motivi e occasioni per fare feste, organizzare eventi, viaggi, iniziative. "Chissà quanto vivrò ancora, avanti: festeggiamo".
Era, anche, una grandissima rompicoglioni. E questo i suoi migliori amici possono confermarlo al 130%.
Ogni tanto crollava, sì, anche lei. Soprattutto quando l'ultima battaglia la stava per abbattere. "Che destino, ogni volta che faccio una cosa bella, arriva una botta". L'ultima cosa bella era il romanzo "Breve storia di due amiche per sempre".
La vedo all'opposto, Harry. Come ti ho detto, la verità è che nessuno al mondo, nella tua sofferenza, avrebbe avuto la straordinaria forza che hai avuto tu di scrivere due libri, fare viaggi, progettare, sognare. Io non avrei combinato un centesimo di quel che hai fatto tu.
Ricordo il giorno in cui dovevi presentare il tuo ultimo libro, e un'ora prima della presentazione ti ho trovata mentre confabulavi al telefono con qualcuno, entusiasta. Quando hai messo giù, ho scrutato quel lampo malandrino tipico dei tuoi occhi, non ti ho fatto domande ma tu mi hai preceduto: "Stavo raccontando all'editor la trama del mio prossimo romanzo: sarà una figata!" Ho scosso la testa e ti ho lasciato lì: al tuo nuovo sogno.
Ora vai. Mi hai guardato negli occhi, quando eravamo vicini all'ultimo chilometro, e mi hai detto: "Spero solo, almeno, di lasciare in te e nei bambini un bel ricordo".
Lasci qualcosa di più: mi hai semplicemente insegnato come si vive. Non imparerò mai, puoi scommetterci, ma ti prometto che ce la metterò tutta.
Lascio da parte le migliaia di immagini nostre, intime. Tranne una. Domenica 11 dicembre, alle 5, ti ho sognata. Eri serena come non ti vedevo da mesi. Mi parlavi, ci abbracciavamo, io piangevo tanto, tu mi hai ringraziato perché hai potuto parlare con Chiara e Sara. Eri tranquilla, anche se avevi "questo ciuffo matto" nella testa. Poi sei partita per un viaggio tutto tuo, verso chissà dove.
Devo dire di cuore dei grazie, e nel farlo dimenticherò tante persone.
Le amiche e gli amici veri, loro sanno a chi mi rivolgo.
In un Paese vergognosamente anti scientifico, mi inchino alla competenza e alla preziosa umanità scovata all'Ospedale Humanitas: alle infermiere e agli infermieri, o candidi angeli, un immenso grazie! Anche per i sontuosi caffè con la moka, come se li avessi bevuti. Avete pianto con me, non lo dimenticherò mai.
I medici: Andrea, Barbara, Corrado, Cristiana, Francesco, Marco K., Monica, Pietro. Ancora: Marco R., scusa se spesso ti ho trattato da Frate Indovino e non da splendido UomoDottore quale sei; Vittorio, vabbè Vittorio... Zione putativo, ti dirò sempre un 'grazie' in meno di quanti ne meriteresti. Ridi, ti prego.
Infine: Silvia. La Doc. La Scienza. Tu sei stata una delle scoperte più belle della nostra recente vita. Tu e la tua bella famiglia. Hai fatto tantissimissimissimo. Ricordati che mi devi togliere ancora quelle due cose o quella là continua a rompere il cazzo.
E poi, Maria Giovanna. Nel cuore di Franci avevi un palchetto d'onore tutto tuo, con le tue 'pozioni magiche', le tue visioni, le tue parole profonde e precise, i tuoi consigli sempre azzeccati. Per osmosi, sarai sempre anche in me.
Non piangete, medici, non piangete infermieri. E sappiate che se ci fossero anche solo 100 persone come voi in ogni professione, il mondo sarebbe un posto molto migliore.
Non ringrazio chi, senza neppure conoscermi, in un giorno che voglio dimenticare di inizio novembre mi ha detto con freddezza, senza neppure sfiorarmi, che mia moglie sarebbe morta nel giro di un mese, massimo tre, perché lo dicono le statistiche. Mi hai fatto piangere troppo e prima del necessario. Non si fa. Ma spero che migliorerai negli anni.
Ringrazio infine tutti coloro che hanno capito il motivo per cui ho voluto proteggere il mio Harry all'ultima curva. Non potevo fare più nulla, per lei, se non una cosa: preservarne la dignità, proteggerne il silenzio e il sorriso appena un po' incrinato. Se avessi fatto diversamente, esponendola, non me lo sarei perdonato per il resto dei miei giorni. Di più, avrei violato un suo preciso volere. Non si fa, se si ama.
Se avete capito, bene, altrimenti: amen.
Ora vai, Harry. Che la Vita finalmente ti sorrida un po'. Veglia sui tuoi bimbi, sorreggili, guidali.
Vai lassù, faccia da ranocchia. Porta anche Leo, il neo. Ciao, nasino freddo.
Tic-ti-tic. Tic-ti-tic. Le senti, le fedi che si sbaciucchiano?
Prometto di rispettare le tue ultime volontà. Tranne una. Perdonami.
Prometto di prendermi cura dei nostri bambini.
Prometto di portarti sempre con me.
Ti chiedo un ultimo sforzo: da lassù getta sul capo di ognuno di noi una goccia del tuo inesauribile ottimismo. Basterà e avanzerà per capire come si vive sorridendo.
Se poi, tu e Rudy, vorrete buttarci giù anche una goccia di mojito, ci terremo pure quella.
Alla tua. Alla vostra.
Mi vivi dentro.
Tuo, Ale."

venerdì 9 dicembre 2016

"I guardiani delle rose" in pillole... Dal prologo




Al check-in la hostess si trovò davanti la disperazione fatta persona. Una bella donna - ragazza - sui venticinque anni.
Una disperazione che non sapeva di morte, ma più di cuore spezzato. Squadrò l’ambiguo accompagnatore accanto alla giovane donna. Provò a immaginarlo gonfio di botte, gli occhi pesti, le labbra spaccate e sanguinanti. Questo le diede sollievo. 
Era lui la causa di tanto dolore.
Lei piangeva senza ritegno, e lui mal celava il suo finto dispiacere. 
Un mentitore nato. Un altro aspirante attore arrivato a Los Angeles chissà da quale angolo del mondo, con il suo bagaglio di sogni inutili. 
Inutili quanto lui; anzi, molesti. 
Un bel ragazzo sui trent’anni, quel mattino accompagnava la disperazione fatta donna all’aeroporto internazionale di Los Angeles: il mastodontico LAX. 
Un uomo fine, a modo. 
Faccia da bravo ragazzo.
Un figlio di puttana.

giovedì 24 novembre 2016

Ciao Professore





Chi l'avrebbe detto che quel giorno sarebbe stato l'ultimo in cui ti avrei incontrato?
A parte Giorgio, non lo sapeva nessuno. Quel giorno, durante il pranzo Tolstojano al quale ogni tanto mi invitavi, mi volesti come sempre accanto. Però quella volta ci scolammo una bottiglia in due e parlavi, non la finivi di raccontare. Sei sempre stato un gran chiacchierone ma quel giorno i tuoi discorsi erano più alti; non i semplici racconti del tuo passato grandioso, movimentato, insomma sempre lo stesso.
Dettavi alla mia mente appannata la tua eredità spirituale.
"Nella vita sono sempre stato fortunato" dicevi "mi è andato sempre tutto bene. Ho avuto i miei dispiaceri, ma non ho mai incolpato nessuno. Comportati e 'nomina' il Bene, quando lo incontri. Non tenerlo per te; tieni per te ciò che non ti piace, il male va sepolto e dimenticato ma il Bene tiralo sempre fuori."
Questa mattina non sapevo ancora che fossi morto. Sono andata in piscina e ho incontrato l'istruttore di Giorgia dell'anno scorso, un maestro che fa il suo lavoro con dedizione, non uno qualunque. Ho pensato che se Giorgia va volentieri a nuoto è solo merito suo. Mentre nuotavo mi sono chiesta se dirglielo. Ero titubante, in fondo non gli avevo mai rivolto la parola. Sono uscita dalla vasca, lui nemmeno mi guardava, parlava con un suo collega, sono andata da lui e gliel'ho detto. Gli ho detto che mi dispiace che quest'anno non sia di nuovo lui il maestro di Giorgia e che lo ammiro tanto. Gli ho detto ciò che ha fatto per mia figlia, e cioè che le ha fatto piacere il nuoto, uno sport che ha sempre detestato.
Sono tornata a casa pensando che alla soglia dei 42 anni finalmente riesco a dire ciò che penso, in barba alla mia timidezza, e mentre raccontavo a Giorgio della mia conquista, lui mi ha detto di te.
Ho pianto.
Da un'ora non faccio che sforzarmi di ricordare ciò che mi dicesti quel giorno, quel nostro ultimo giorno, e tra i molti messaggi quello che spicca è proprio questo: "Comportati sempre bene, e se vedi il Bene nominalo."
Sei morto a 96 anni dopo una lunghissima vita piena di bellezza, avventure, cultura, la vita ti ha sempre sorriso e tu sorridevi a essa. Quel giorno per la prima volta mi sono sentita così affine a te, così simile nel pensiero, nel modo di fare. Oggi qualcosa in me è cambiato, ed è cambiato prima che sapessi del tuo volo. Una parte di te da questa mattina vive in me, non sai quanto ne vado fiera.
Oggi sono felice per te e triste per me, che non ti vedrò più; ti penso felice e leggero in un giorno così importante, chissà se i testi di Nietzsche ti hanno aiutato a prefigurarti la morte. A 96 anni, con la mente lucida e reduce da un concerto della sera prima, non può essere che una festa, il sogno di tutti.
Tu lo hai realizzato.
Che il cielo ti accolga con le braccia del tuo più grande amore e il sorriso della tua bambina.
Ciao Professore, questa sera brinderò per te.

lunedì 14 novembre 2016

Lolita



Libro magnifico che ho rimandato per troppo tempo perché due mie amiche e mia cugina, che sono delle forti e attente lettrici, lo avevano accusato all'unisono di essere un romanzo sopravvalutato; tutte avevano storto il naso e scosso la testa e asserito che non valeva la pena leggerlo.
Alla fine la curiosità ha avuto la meglio e mi sono decisa, grazie al cielo.
Che inaspettata rivelazione!
La storia è quella di un malato, un uomo dall'intelligenza formidabile ma con lo spirito corrotto, tendente alla depressione, infelice però ironico, cinico, pienamente cosciente della propria follia. Ed è questo che rende Lolita un capolavoro piuttosto che un odioso elogio della efebofilia. Humbert Humbert, come si soprannomina il personaggio principale, è morbosamente attratto dalle bambine tra gli 8 e i 13 anni. Disprezza tutto ciò che va oltre, chiama tardone le venticinquenni ma lo fa in un modo quasi comico, lasciando sempre intendere, anche attraverso il modo strampalato di scrivere, che la voce narrante è quella di un pazzo.

Da 42enne in crisi di mezza età ho letto questo libro spesso ridendo, ma sempre con un briciolo di compassione per Humbert che non si piange mai addosso ma spiattella i suoi limiti, le sue manie, i suoi sensi di colpa senza ritegno.
Humbert scrive dalla prigione e rivolgendosi a noi lettori del 2000 (ci chiama in causa più volte in veste di giudici) invoca il nostro perdono. Chiede di essere capito e perdonato e io, donna del futuro, di fronte a un libro scritto magistralmente, con uno stile ineccepibile, una ricercatezza linguistica così accurata, di fronte alla bellezza estrema alzo le mani e perdono tutto.
Che il cielo ti benedica, quarantenne sventurato degli anni '50.
Felice immortalità, a te e alla tua Lo-Li-ta!

lunedì 7 novembre 2016

Diario di viaggio a New York



Scrivo questo diario con l'intento di non dimenticare uno dei viaggi più importanti della mia vita e per dare consigli preziosi a chi deciderà di visitare la città che per me è la più bella del mondo, dalla quale sono appena tornata e della quale sento una profonda malinconia. Una città in cui sei in mezzo a milioni di persone, a settemila chilometri da casa eppure TI SENTI A CASA.
Ladies & gentleman, New York: la città più rumorosa e accogliente del mondo.

Ma andiamo per gradi.

Ho prenotato con nove mesi di anticipo proprio per riuscire a risparmiare qualcosa e infatti così è stato.

VOLO
La scelta era tra Fly Emirate e Delta, i prezzi si equiparavano, all'incirca 350 € inclusa assicurazione all inclusive a passeggero, e avrei scelto la prima compagnia se la seconda non avesse avuto orari migliori. Siamo partiti da Malpensa alle 13 di martedì 1 novembre, arrivati a New York alle 17, e siamo ripartiti dal JFK sabato 5 novembre alle 18 e atterrati a Malpensa alle 7 di domenica mattina 6 novembre. All'andata la Delta ci ha fatto volare su un aereo Alitalia (su quel volo erano appoggiate anche KLM e Air France) al ritorno abbiamo viaggiato su un velivolo della Delta. Entrambi gli aerei erano moderni e ben attrezzati con schermi su ogni sedile e film appena usciti nelle sale. All'andata ho visto Indipendence Day 2 e un film italiano che desideravo vedere da un po', Perfetti sconosciuti. Per il resto mi sono goduta il volo con la telecamera di bordo, che in partenza e in atterraggio ha offerto grandi emozioni. Ho visto anche un pezzo dell'ultimo Alice, ma poi l'atterraggio ha avuto la meglio. Al ritorno ho dormicchiato quasi tutto il tempo e visto il GGG in inglese che in Italia non è ancora uscito! Insomma, due ottimi voli.

PASSAPORTI
Se viaggiate con i bambini come la sottoscritta verificate che nei loro passaporti siano specificati i nomi dei genitori. Ho fatto il passaporto da poco, ero convinta che andasse tutto bene, mi era costato un occhio, ero in regola con l'Esta https://esta.cbp.dhs.gov/esta/application.html?execution=e1s1  ma quando arrivo al chek in, che tra l'altro avevo già fatto online, la hostess impallidisce. Mi chiede come fa lei a capire che noi siamo i genitori! Le dico che mi sono procurata i passaporti elettronici in questura ad agosto, che insomma se non lo sanno loro cosa va inserito sui passaporti come posso saperlo io. Abbiamo rischiato di non partire e vi assicuro che la sensazione è terribile. Il sogno di una vita mi si stava sgretolando così, per un errore della polizia di Stato! Poi dopo varie telefonate e palpitazioni è risultato che i passaporti andavano anche bene così, ma che spavento, e comunque la poliziotta che ha controllato i passaporti al ritorno mi ha suggerito di fare inserire i nomi dei genitori sui passaporti delle bambine. Anche secondo lei abbiamo rischiato di non partire...

TRASPORTI
Da casa nostra a Malpensa abbiamo preso l'auto, 45 minuti ed eravamo a Malpensa dove avevo prenotato il parcheggio tramite internet. Ho optato per uno dei parcheggi ufficiali dell'aeroporto, a 4 minuti a piedi dal Terminal 1 da cui partivamo, a un costo di 45 €. Davvero comodo: http://www.viamilanoparking.eu/it/scegli-il-tuo-aeroporto/aeroporto-Malpensa
Una volta arrivati al JFK invece c'era la scelta tra il taxi con tariffa flat, che con 60 € e un'ora e trenta ci avrebbe accompagnati in hotel, i taxi cumulativi che con molto meno ci avrebbe accompagnati in hotel in molto più tempo però (una conoscente in hotel ha detto di averci impiegato due ore e trenta...) e i mezzi pubblici: Air Train (5€) quindici minuti, più metropolitana linea E trenta minuti. All'ingresso della metropolitana abbiamo acquistato la Metrocard da 9,91 dollari, con la quale abbiamo effettuato oltre a quel primo viaggio altri 3 viaggi e abbiamo ricaricato soltanto un'altra volta con € 5,50 (ogni viaggio con Metro card costa 2,75 anziché 3 dollari del biglietto normale). Le bambine hanno viaggiato sempre gratis; sebbene sul sito della metropolitana ci sia scritto che i bambini sono tenuti a pagare il biglietto pieno, nessuno, compresi i Newyorkesi, pagano il loro ingresso e i bambini passano tranquillamente sotto il tornello. Lo stesso venditore si è rifiutato di vendermi la Metrocard per le bambine. Consiglio molto questa terza scelta se si ha l'hotel vicino a una fermata della metropolitana. Il nostro hotel era vicino a tre fermate tra cui la famosa Penn Station.

HOTEL:
Ho scelto l'hotel dopo aver acquistato il volo su Expedia. Volevo poter pagare in hotel e disdire fino all'ultimo, sperando sempre di trovare qualcosa di meglio e infatti prima di giungere al definitivo ne ho prenotati e disdetti due. Come quasi sempre, ho prenotato tramite Booking.
http://www.booking.com/hotel/us/red-roof-inn-manhattan.it.html
L'hotel Nyma è un ottimo tre stelle che vista la posizione centrale, la comodità esagerata dei letti, la colazione squisita e l'incantevole visuale sull'Empire State Building ne vale almeno cinque. Abbiamo speso 1000 dollari per quattro notti con la colazione inclusa e onestamente ci tornerei.

PASS:
Per giorni e giorni mi sono arrovellata sulla scelta del pass. Avevo paura di trovare code agli ingressi e in più volevo risparmiare qualcosa. Alla fine abbiamo optato per l'Explorer soprattutto perché consentiva di scegliere il numero di attrazioni e pagarle qui, e poi decidere lì cosa visitare:
http://www.smartdestinations.com/new-york-attractions-and-tours/_d_Nyc-p1.html?pass=Nyc_Prod_Exp&allInc=true&PID=3003858&Subid1=explorerpass&subacctid=3003858&subacctname=Carlo+Galici&adid=11557229&Subid2=5e9925bfa75011e680d71803730cb919_178203569972682688%3AEv7dlRTYBwpK&utm_medium=AFF&utm_source=CJ
Devo dire che visto il periodo non abbiamo mai trovato file, avremmo voluto utilizzare il pass per salire sulla costosissima e imprescindibile Freedom Tower ma non era inclusa nel pacchetto, e anche all'Intrepid Museum per vedere lo Shuttle Enterprise abbiamo dovuto pagare 40 dollari in più. Alla fin fine non so quanto mi sia convenuto.

Ed ecco il racconto del viaggio, giorno per giorno:

GIORNO 1
E' l'1 novembre e con la mia famiglia partiamo prestissimo da casa perché il giorno prima ho fatto il chek in online ma sono riuscita a stampare solo le carte d'imbarco delle bambine, per la mia e quella di mio marito Alitalia dice di rivolgerci al personale in aeroporto. Sento una mia amica che lavora lì e mi dice che Alitalia ha di recente modificato il sistema di prenotazione per cui, per errore, ha accettato il doppio delle prenotazioni ed è in forte overbooking. Per questo motivo mi suggerisce di andare in aeroporto alle 8 anche se il volo decollerà alle 13. Le 8 mi sembrano eccessiva, ma alle 9:30 siamo davanti alla hostess del chek in. Questa, molto gentile, guarda i passaporti e ci fa notare che mancano i nomi dei genitori sui passaporti delle bambine. Ci suggerisce di andare a fare con urgenza uno stato di famiglia e che comunque anche con quello non è detto che riusciamo a partire. Io inizio a sudare freddo, mi sembra di vivere un incubo. Le dico che non può esserci un errore perché li ho fatti fare da poco, la polizia di Stato non può essersi sbagliata. Le chiedo di provare a informarsi meglio e anch'io faccio le mie telefonate. Sono tutti basiti per il fatto che i nostri nomi non compaiano, però poi alla fine la hostess ci lascia passare. Una sua collega le ha detto che i passaporti elettronici vanno bene così. La saluto con un sorriso ma un paio di maledizioni se le becca. Come si può essere così impreparati?
Ci dirigiamo lentamente verso l'imbarco, ci dilunghiamo tra i negozietti e mangiucchiando qui e là, godendoci l'attesa di quel viaggio che sogniamo da tempo...
L'aereo è molto moderno e comodo, parte puntuale, il cibo è decente e i film sono freschi di sala, insomma va tutto bene anche se 8 ore sono lunghine da far passare e di dormire non se ne parla, siamo troppo eccitati.
Atterriamo puntuali, passiamo dalla dogana dove noi due adulti veniamo schedati e poi ci dirigiamo verso l'Air Train. Avremmo preso il taxi se non avessimo avuto la bambina che soffre il mal d'auto, e devo dire che come soluzione non è affatto male. Prendiamo l'Air Train che in 15 minuti ci porta fuori dall'aeroporto offrendoci già qualche scorcio delle periferie (credo passi dal Queens) e poi a Jamaica Station entriamo nell'adiacente metropolitana. Andiamo al botteghino a prendere il biglietto dell'Air Train (che si paga in uscita, che strano) e due tessere ricaricabili della metropolitana, chiamate Metrocard, da 9,91 dollari ciascuna, grazie alle quali potremo effettuare 4 viaggi. Prendiamo la metropolitana linea E e scendiamo a Penn Station dopo una valanga di fermate. Eravamo molto stanchi e sembrava di non arrivare più. Credo che il viaggio sia durato almeno 30 minuti. Appena saliti in superficie siamo rimasti sconvolti dai grattacieli che non ne avevamo mai visti di più alti e dalle luci abbaglianti. Grazie alla mappa abbiamo raggiunto l'hotel, con i nostri due trolley piccoli, due zaini in spalla, le bambine che barcollavano dal sonno e ci siamo fiondati subito a letto. Lì erano le 9 di sera, in Italia le 2. Non chiedetemi perché nel periodo in cui siamo stati noi le ore di fuso erano 5 e non 6 perché non l'ho ancora capito.

GIORNO 2:
Mercoledì 2 novembre. Ci svegliamo prestissimo per via del fuso orario e andiamo a fare colazione alle 6:30, appena apre la sala. Come ho già detto la colazione è ottima, sfiziosa e abbondante; alle 8 siamo già fuori dall'hotel. L'aria è frizzantina, la giornata limpida, decidiamo così di incamminarci a piedi fino a Battery Park dove ci imbarcheremo per andare a visitare la Statua della Libertà. Imbocchiamo la 5th in direzione Sud, ogni tanto la alterniamo con la Broadway, e la passeggiata è piacevole. Siamo affascinati dai grattacieli che si susseguono, le molte auto e i taxi e i camion che occupano le numerose corsie. Ci sconvolge il fatto che siamo in centro a New York eppure ci sono i tir, cosa che in centro a Milano è impensabile. La strada è affollata, e anche i marciapiedi sono ben popolati, incontriamo bambini che vanno a scuola e le mie figlie sono tutte felici di non essere nei loro panni. Ci saranno quindici gradi e a differenza di noi quattro che indossiamo i piumini invernali, la maggior parte delle persone sfoggia un abbigliamento leggero, le donne sono tutte senza calze, qualcuno indossa le infradito, in molti sono a maniche corte. Prendiamo una cioccolata calda to go per le bambine e io e Giorgio prendiamo un caffè e camminiamo, passando per il bel Flatiron Building,  Greenwich Village, quel che resta di Little Italy, China Town. All'altezza della cappella ebraica di St. Paul ci fermiamo e ci dirigiamo verso il grattacielo più alto, il One World Trade Center, attratti come da una calamita. Prima di affrontare quella zona, di cui già intuiamo la portata emotiva, entriamo nella chiesetta attraversando il cimitero ebraico che ci ricorda quello di Praga. nella cappella stanno facendo le prove di un concerto, così ci sediamo e ascoltiamo quel magnifico coro accompagnato da violoncelli, flauti, oboe e fagotti.
All'uscita incontriamo un uomo che ci racconta i danni subiti dalla cappella durante il crollo delle Twin Towers, ci mostra le immagini del grattacielo accanto a noi subito dopo il disastro. Si propone per un tour ma gli diciamo che preferiamo proseguire da soli. Di fronte a noi c'è una struttura molto grande a forma di colomba bianca, oltre la quale ci sono le due femose fontane costruite sulle fondamenta delle Torri Gemelle. Io inizio a piangere. Il ricordo di ciò che è accaduto è troppo forte e quella colomba della pace, il grattacielo nuovo dietro di essa mi trasmettono un messaggio profondo.






Quella colomba mi parla di perdono, del bisogno di rialzarsi nel nome della pace e di andare avanti nonostante tutto. Questo più di tutto mi commuove. Attraversiamo la colomba che purtroppo contiene un centro commerciale di lusso, e dall'altro lato incontriamo le fontane. Il silenzio lì è surreale, sui bordi delle fontane sono incisi i nomi delle persone che hanno perso la vita in quell'apocalisse. Un parco tutto intorno rende meno cupo il nero di quelle vasche. L'acqua che vi scorre ricorda le lacrime.




Ci fermiamo sbalorditi per qualche minuto e poi ci dirigiamo come automi verso il grattacielo, chiamato anche Freedom Tower, dal qualesi gode uno dei panorami più spettacolari di New York. Purtroppo l'ingresso non è incluso nel nostro pass, così ci troviamo a dover sborsare 105 dollari per salire tutti e quattro al 103esimo piano. L'esperienza è molto intensa. L'ascensore sale velocemente, ce ne accorgiamo dai timpani che si contraggono, però durante l'ascesa vengono proiettate immagini a rallentatore di New York, dalle origini ai giorni nostri. Quando si arriva in cima, vengono mostrate altre immagini fino a quando gli schermi si sollevano, come tendine, e ci si trova tra le nuvole ad ammirare una New York a 360 gradi. Una vista mozzafiato indimenticabile.
Scesi dalla torre mangiamo in un fast food (come faremo sempre) e ci dirigiamo a Battery Park passando per Wall Street. Prendiamo il battello nel tardo pomeriggio ed è un errore, prerché proprio a causa di questo nostro ritardo non riusciamo a visitare Ellis Island, che chiude alle 16:30, anche se il pezzo forte è l'isola di Lady Liberty sulla quale trascorriamo una piacevole oretta di relax.




Tornati a Manhattan ci riposiamo un altro po' (iniziamo a essere stanchi) nel bel parco pieno di scoiattoli e poi prendiamo la metro fino a Time Square dove ci intratteniamo per cena. Da lì all'hotel facciamo una breve passeggiata e alle 9 di sera (le 2 di notte in Italia) siamo già tutti belli e addormentati.

GIORNO 3
Giovedì 3 novembre, il cielo è nuvoloso ma l'aria è tiepida. Decidiamo di continuare a visitare la città a piedi anziché con il bus turistico, come paventavamo all'inizio, poiché le bambine  si rivelano più resistenti di quanto ci aspettassimo e girare a piedi è sempre il miglior modo per girare una città. Stavolta la direzione che prendiamo sulla 5th è Nord, l'obiettivo principale è Central park.
La prima sosta la facciamo a Bryant Park, dove ci sono già i mercatini natalizi e la pista di pattinaggio sul ghiaccio in mezzo ai grattacieli. Sembra di esser in un film. Da lì ci spostiamo nell'adiacente Public Library e poi andiamo nella famosa Grand Central, rivivendo parte di uno dei nostri cartoni animati preferiti: Madagascar, cui la giornata è dedicata. Infatti il pezzo forte sarà lo zoo di Central Park, che le bambine sognana da casa. Lo raggiungiamo dopo essere passati accanto al Rockfeller Center (rinunciamo al Top of the Rock) e un'altra St. Patrick Cathedral che sembra il Duomo di Milano in miniatura, forse a causa dei grattacieli che la sovrastano di molti piani.
Lo zoo non è niente di che, lo si intuisce anche da fuori, e di certo non ci sarà Alex il Leone ad attenderci, ma lo dobbiamo alle bimbe ed entriamo. Nonostante sia veramente piccolo e con pochi animali, è incorniciato magnificamente, per cui anche quello scorcio vale il pagamento dei biglietto per noi adulti. Le bambine si divertono da matti, almeno loro, noi ne approfittiamo per rilassarci un po'. Mangiamo all'interno dello zoo e poi ci inoltriamo dentro Central Park che con i colori dell'autunno è a dir poco incantevole.






Abdiamo piano piano verso la statua di Alice nel paese delle meraviglie, che rende quel luogo se possibile ancora più magico, e poi attraversiamo trasversalmente il parco per raggiungere il museo di storia naturale passando per i laghetti. Arriviamo davanti al museo alle 16:30, un'ora prima dell'orario di chiusura, per cui l'ingresso è gratuito. Siamo molti stanchi quindi lo giriamo lentamente, sedendoci molto spesso. All'uscita mangiamo un gelato sulle scale del museo e poi prendiamo la metro in direzione hotel. Prima di rientrare facciamo un salto sull'Empire State Building, incluso nel pass, che dal suo maestoso 86esimo piano ci offre una eclatante visuale di New York, questa volta in versione notturna.







Alle 9 di sera siamo a letto come sempre e partiamo come un missile per il mondo dei sogni.

GIORNO 4
Venerdì 4 novembre, come le altre mattine sono sveglia alle 5, San fuso orario. Per la prima volta in vita mia provo l'ebbrezza di essere mattiniera. Dopo la fantastica colazione decidiamo di andare a piedi verso l'Intrepid Sea, Air and Space museum, e dato che apre alle 10 la prendiamo larga passando per l'incantevole quartiere di Chelsea e percorrendo una buona parte di High Line.






Nonostante la stanchezza accumulata, la passeggiata su quella sopraelevata, tra i vecchi binari, è davvero suggestiva.
Visitiamo il museo e poi dopo aver pranzato in un fast food prendiamo la metropolitana F con fermata York: finalmente conosciamo Brooklyn! Concludiamo la lista dei desideri con la magnifica vista dello Skyline dal parco e dal ponte di Brooklyn, facciamo qualche giro su Jane's Carousel ed è tutto così bello che mi sembra di vivere un sogno. New York vista da lì è di una bellezza strabiliante.





Attraversiamo il ponte lentamente, mentre scende la notte. Da metà ponte vediamo la fiaccola dorata di lady Liberty. Il cielo è stellato. Usciamo dal ponte e l'aria è tiepida, Manhattan ci riaccoglie tra le sue grandi braccia, entriamo nella elegante City Hall, prendiamo la metro e torniamo in Hotel passando da Time Square.

GIORNO 5
Sabato 5 novembre ci svegliamo più con calma. Iniziamo ad abituarci al fuso orario e vogliamo comunque lasciare la stanza non prima di mezzogiorno. Ci aspetta una lunga giornata, trascorreremo la breve notte in aereo, quindi vogliamo riposare un po' e recuperare le energie.
Lasciato l'hotel ci dirigiamo verso l'Hard Rock Cafè dove acquisteremo le magliette per le mie figlie e i miei nipoti, unici souvenir della vacanza, pranziamo in un fastfood e percorrendo la quinta in direzione Nord ci avviciniamo di qualche fermata all'aeroporto. Passiamo per Radio City Hall, di nuovo il Rockfeller e poi raggiungiamo l'aeroporto come all'andata, Metro più Airtrain.
L'aereo decolla puntuale, le bambine riescono a riposare qualche ora, noi no. New York è così viva nei nostri pensieri, così sconvolgente, maestosa, che una volta raggiunte le nuvole si deposita nelle nostre menti attonite.
Il mattino dopo atterriamo in una grigia Milano, che però ha una luce diversa rispetto a quando l'abbiamo lasciata.
La nostra.


#diariodiviaggio #newyork #5giornianewyork


venerdì 23 settembre 2016

MARIA




Maria
mia amata zia
mi guardo allo specchio
vedo il tuo riflesso.
Le stesse spalle
le ossa complicate
le stesse gambe
le dita affusolate.

Maria
mia amata zia
quante volte ho letto i miei pensieri nei tuoi.
Nel tuo sguardo
lo stesso cipiglio
il tuo sorriso sincero
lo stesso scompiglio.
Le ansie, la compassione, l'allegria e la depressione
Quante rinunce ci uniscono in questa confusione
che ci è capitata
non l'abbiamo mica cercata.

Maria
mia amata zia
ogni volta che ho pianto mi sei stata accanto.
Ogni volta che ho sbagliato
non mi hai mai giudicato.
Sono caduta tante volte
caduta in basso,
ma il tuo sorriso, il tuo amore
incondizionato
mi hanno sempre risollevato.

Maria
mia amata zia
non so cos'abbia mai fatto io per te
forse niente.
Da brava figlia e nipote ho sempre e solo ricevuto
amore, attenzioni, parole di conforto.

Ho sempre avuto due mamme,
la più grande fortuna,
Melina è il sole,
tu sei la mia luna.

Maria,
mia amata zia,
nel giorno del tuo ottantesimo compleanno
ti auguro di trascorrere la vita senza più un malanno
di essere felice, saggia e paziente
e di volermi bene
come hai fatto sempre.

Tanti auguri zia
avanti tutta
la tua bellezza, la tua forza è un faro.
Finché ti seguirò,
non mi perderò.

Tua Stefania