mercoledì 24 febbraio 2016

I consigli di UMBERTO ECO agli aspiranti scrittori

I consigli di Umberto Eco....(che sublime ironia!)

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, ch...e lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.

lunedì 15 febbraio 2016

Carnevale







Carnevale.
Straziante ricordo di sorrisi forzati. 

Coriandoli, urla, gioia apparente. 
Gelo disarmante. 
I cuori duri, la rabbia, il dolore. 
I sorrisi dovuti. 
L'amore che inganna. 
Tu, con il tuo cuore enorme; lui, un miserabile.
La vita che scivola. 

Il freddo, le cure che sono torture, le nostre bambine vestite di rosa
Pimpi e Coniglietta
rosa come il colore dei sogni realizzati al tramonto, goduti un istante. 
Tanto per conoscere la disperazione che si chiama abbandono.
Carnevale, 

ricordo feroce, 
non so se faremo mai pace.

martedì 9 febbraio 2016

Ti prendo e ti porto via



Non avevo mai letto nulla di Ammaniti. Il titolo di questo libro mi ricordava un periodo molto piacevole della mia vita, i miei ventisei anni. Quell'estate c'era una canzone di Vasco che aveva fatto da colonna sonora alle mie vacanze estive, diceva: "Ma dove vai? Ma dove vai?? Tanto ora mai se mia. Faccio così, passo da lì, ti prendo e ti porto via."
Pensavo di ritrovare in questo libro le emozioni violente di quell'estate. E in effetti oggi ho un gran magone.
La storia è ambientata in quell'Italia contemporanea tipica di un paesino di provincia, dove forse l'italiano da il peggio di sé. Quella provincia in cui tutti sanno tutto di tutti, in cui ci sono i bulli a scuola e i bravi ragazzi sono costretti a subirli. In cui ci sono anche i bulletti adulti, ultra quarantenni vanitosi e superficiali, sballati e ossigenati. E ci sono anche le brave persone - poche - sfortunate fin dalla nascita ed emarginate. Insomma, è una storia che chi vive quest'Italia senza più bellezza né ideali conosce bene. Ed è un romanzo che fa anche sorridere e ridere, ma lascia l'amaro in bocca.
E alla fine fa piangere.
Non l'avrei letto se avessi saputo che mi avrebbe fatto soffrire così. Anche se ripeto spesso alle mie figlie che non esisterebbe la gioia senza la tristezza, be' andare proprio a cercarsela anche no.
Romanzo sicuramente coinvolgente, Ammaniti è un grande narratore ed è stato un piacere conoscerlo.
Ma andarsi a cercare la tristezza, anche no.


mercoledì 3 febbraio 2016

A mio padre


Questo pensiero lo dedico a te, che sei un uomo grande.
A te, che non hai paura di niente
se non di volare… e navigare…
A te, che mi hai trasmesso la prudenza,
la perseveranza,
a riconoscere la gioia che è nelle piccole cose.
Figlio della guerra, della povertà,
la tua più grande ricchezza è l’umiltà.
La testa alta nonostante le ossa rotte.
Una dignità che non teme la notte.
La tua forza è nascosta in una delicata corazza,
non ostenti coraggio,
né ciò che a fatica ti sei guadagnato.
A te, che mi hai insegnato tutto
e non mi hai insegnato niente,
auguro un compleanno felice, un 71esimo inebriante.
Non è da molto che ridi con quei sorrisi veri;
l'allegria, la leggerezza, è questo che meriti dopo una vita di pensieri.
Recupera la spensieratezza con serenità!
Questo è il mio augurio per te,
mio adorato papà.