giovedì 14 giugno 2018

Una poesia non mia, che faccio mia.




Ma dimmi tu questi negri
che vengono a prendersi per disperazione
ciò che noi ci prendemmo con la violenza,
la spada e la croce santa,
lasciandoci dietro solo disperazione.
Ma dimmi tu questi negri
che hanno cellulari e guardano le nostre donne,
mentre noi da sempre
ci fottiamo le loro
un tanto a botta nelle strade nere delle periferie,
e prendiamo il silicio dalle cave delle loro terre,
e come osano poi questi negri
avere desideri proprio uguali ai nostri
manco fossero umani.
Ma dimmi tu questi negri che attraversano il mare
come se fosse messo lì per viaggiare
e non per tenerli lontani,
per galleggiare e non per affondare,
per andare e non per tornare.
Ma dimmi tu questi negri
ex schiavi dei bianchi
che vengono qui a rubarci il pane
proprio ora che gli schiavi siamo noi.
Messi in ginocchio e catene
da politici e finanzieri bianchi
con colletti bianchi
e canini e incisivi sorridenti
e perfettamente bianchi,
che in meno di trent’anni
ci hanno fatto schiavi.
Ma dimmi tu questi negri
che hanno scoperto ora che la terra è una,
è rotonda,
e che a seguire la rotta della loro fame
Si arriva dritti dritti alla nostra opulenza.
Ma dimmi tu questi negri
che facessero come i nostri nonni:
cioè tornare nella giungla e sui rami alti
visto che sono loro i nostri progenitori
e che l’umanità è tutta africana.
Ma dimmi tu questi negri che non rispettano i confini della nostra ignoranza e i muri della nostra paura.

Ma dimmi tu questi negri che persino si comprano le sigarette
dopo che noi ci siamo fumati le loro foreste,
le loro miniere,
il loro passato,
il loro presente
ma abbiamo commesso l’imperdonabile errore di lasciargli una vita
e un futuro
a cui dimmi tu, questi negri,
non rinunciano mica.
Ma dimmi tu questi negri
che si portano il loro Dio da casa
anziché temere il nostro,
e sanno ninna nanne e leggende e favole più antiche delle nostre e parlano male la nostra lingua.
Ma benissimo le loro che però noi non capiamo.
Ma dimmi tu questi negri a cui non vogliamo stringere la mano
né far mettere piede in casa,
sebbene a ben guardare
abbiano i palmi delle mani e dei piedi perfettamente bianchi
Proprio come i nostri.

Andrea Ivaz 
(Chiunque tu sia, GRAZIE)

mercoledì 6 giugno 2018

Inquietudine

Sono ossessionata dalla vita che finisce. Anzi, dalla felicità, dalla stabilità psichica, dalla serenità che può interrompersi all'improvviso. Tutto va mediamente bene, così come lo abbiamo costruito negli anni. La nostra vita è la nostra creatura, fatta di scelte e azioni, oggetti, certezze, legami indissolubili e superficiali. Ho imparato che può accadere l'imprevisto. Che una cosa cambi indipendentemente da noi. Ci sono variabili incontrollabili che possono devastarci la vita. Sono terrorizzata da questo, dall'assenza di controllo, dalla nostra vita serena che può tramutarsi in un inferno senza pace. E un po' dipende sempre da noi, ma non del tutto.
Oggi mi sembra tutto difficile, solo aver prodotto un simile pensiero, aver tirato fuori questo macigno che ho dentro da sei mesi, mi ha procurato un affaticamento incredibile.
Mi sento infelice perché ho paura che la mia vita possa cambiare. Che mio marito mi possa lasciare, che mia madre possa morire. Potrei d'un tratto divenire infelice per sempre. Ed è devastante.