martedì 26 novembre 2013

Diario di una crociera: Costa Luminosa - Verde Lime


Da scrittrice onnivora (si dice?) quale sono, vi propongo il diario della crociera fatta con la mia famiglia dal 24 al 29 ottobre 2013.

Questo è il link del forum su cui l'ho postato: http://forum.crocieristi.it/showthread.php/30830-Costa-Luminosa-Verde-Lime-Ottobre-2013

Questo il mio album della crociera su Facebook: https://www.facebook.com/stefaniatp/media_set?set=a.10201990859800487.1455305190&type=3


Questo il racconto:

GIORNO 1: SAVONA
Partiamo con calma da Milano, alle 11 siamo Savona e ci mettiamo in fila per l'imbarco. Avevo prenotato il parcheggio online, quindi fila tutto abbastanza liscio. Lasciamo auto e bagagli al personale di terra e con una navetta ci accompagnano alla nave. Da fuori è davvero bella, molto grande, provo a guardare la prua e immagino quale sia il balconcino che ho sognato per un mese. Mi accorgo che alcuni dei balconi non hanno il vetro ma lo scafo della nave, ma di sicuro non siamo noi quegli sfortunati con la visuale limitata, ci avrebbero avvisati! mi dico, e mi imbarco speranzosa. Dato che una delle mie due bimbe ha meno di 3 anni mi danno la precedenza sull'imbarco, e anziché dovere attendere il mio turno corrispondente al numero 11 mi danno un numero 1. Entriamo in nave da un ingresso secondario, per via del passeggino, e non troviamo alcun comitato d'accoglienza, nessuna musichetta o hostess. Ci troviamo davanti agli ascensori, chiedo ad un inserviente dove posso trovare la tessera per la cabina e mi sembra di capire che la troverò direttamente in cabina. Così andiamo al ponte 4, perorriamo il corridoio emozionati, apriamo la porticina e... ahimé, il mio balconcino è proprio uno di quelli con la vista ostruita!!! La cabina è carina, per carità, ma senza vetro... Ci rimango malissimo, anche perché avendo due bambine al di sotto del metro e dieci viaggeranno senza mai vedere il mare. Anzi vedo che tendono a volersi arrampicare per guardare giù. Penso che sia stata davvero una scelta di cattivissimo gusto da parte della compagnia avermi dato proprio quella cabina, sapendo che in quella cabina viaggiavano due bambine piccole. Oltretutto una delle due seggiole del balcone è rotta.
Comunque la cabina è abbastanza grande, quindi non mi lamento. Il bagnetto è piccolo, meno carino rispetto a quello della Jade, ma comunque non è male. Con la famigliola ci rilassiamo un attimo e poi andiamo a mangiare al buffet al piano 9. Non riusciamo neanche ad entrare al self service perché poco prima, al grill Lido Eldorado veniamo attratti da hamburger, hot dog e patatine fritte, quindi la gola ha il sopravvento e pranziamo lì. Poi toniamo in cabina, alle 15 ci fanno fare la simulazione di salvataggio, allora fanno partire l'allarme, tutti e 4 indossiamo i nostri salvagenti arancioni e ci lasciamo guidare dagli stuart e le hostess al ponte 3, il nostro punto di raccolta. Mi accorgo che quasi nessuno del personale parla italiano, questo mi ricorda la Jade e mi mette di buon umore. Anche se all'ingresso del buffet non ci sono le signorine che ti dicono sorridendo "washy washy" e ti spruzzano del disinfettante sulle mani, ma il disinfettante bisogna prenderlo da sè agli appositi aggeggini davanti ai vari ingressi. Facciamo un breve giro della nave, che sembra molto simile alla Jade, col casinò, il teatro e la piscina che però è molto piccola. Però è al coperto, e in quell'ambiente si può circolare in costume e ciabattine. Scopro così che ho portato degli abiti prevalentemente autunnali, mentre all'interno della nave il clima è esattamente come d'estate. Prendo nota per una prossima crociera!!!
Alle 16 la nave salpa dal porto e noi ci godiamo la partenza dal balconcino, con le bambine sulle seggioline a guardare giù, ingoiando il rospo del balconcino così diverso da come lo avevo sognato.
Stiamo in cabina fino alle 19, guardiamo un po' di tv che purtroppo non offe molto. Nessun canale dedicato ai bambini e i film se li vuoi te li devi pagare. Mi accorgo anche che il lettone non è comodo come quello della Jade... non ha il coprimaterasso morbidoso che c'era nell'altra nave, e in più i materassi sono due attaccati! Cosa che odio e che non ho mai trovato in un hotel a 4 stelle! Insomma l'impatto non è dei migliori, poi andiamo al Taurus, l'unico ristorante non a pagamento disponibile (nella Norwegian ce n'erano 2 più il bouffet) e ci viene assegnato il tavolo che avremo per tutta la vacanza. Il numero 61, ottima posizione perché attaccato alla finestra di poppa. Purtroppo però anche lì ci danno un tavolo da 8, anziché da 4, e ci ritroviamo a cenare con persone che non conosciamo. Cosa che fa a pugni con l'aspetto di quella sala, molto elegante e appariscente. La cena poi non è un gran ché, i piatti hanno un bell'aspetto, però il gusto sembra un po' da mensa.
Torniamo in cabina, facciamo addormentare le bimbe, io e mio marito stiamo un po' seduti in balcone ad osservare la parete bianca di fronte, poi ci mettiamo in piedi per guardare giù, ma essendo il nostro balcone più sporgente degli altri ci sentiamo gocciolare qualcosa in testa.
Un po' felici un po' delusi ce ne torniamo a letto. Lasciamo la porta finestra leggermente aperta: non possiamo vedere il mare ma almeno possiamo ascoltarlo.
Per fortuna domani si sbarcherà a Barcellona. Ci siamo già stati 4 anni fa, sappiamo che lei saprà consolarci.

GIORNO 2: BARCELLONA
La notte la trascorro abbastanza inquieta, il mare è piuttosto mosso ma soprattutto ho il terrore che la mia bimba grande, che ha 5 anni, cada dal lettino situato in alto, nonostante la piccola sponda che dovrebbe proteggerla. Ad ogni suo movimento salto giù dal letto, finché finalmente non si trasferisce nel nostro letto (come ogni notte).
Ci sveglia una bellissima alba.
Siamo partiti con un uggioso autunno, ma al largo della costa spagnola è estate! In balcone si può stare tranquillamente a maniche corte. Andiamo a fare colazione al buffet ma purtroppo per poter trovare un tavolo ci mettiamo quasi mezz'ora. L'impressione che ho è che i posti siano pochi rispetto al numero dei passeggeri, eppure la nave è enorme. Così ricordo ciò che ha detto il giorno prima il direttore di crociera, e cioé che su quella nave c'è una delle più grandi SPA presenti su una nave da crociera. Mi pare abbia detto che è grande 3500 mq, quindi inizio a pensare che abbiano ridotto molti spazi a favore di questa fantomatica SPA, che noi non vedremo mai. La colazione è abbastanza buona, anche se i cornetti alla crema sono piuttosto asciutti, come se fossero del giorno prima e la crema è davvero pochina. Poi andiamo a iscrivere le bambine allo Squok, ma una delle due ha meno di 3 anni ed è tagliata fuori, così torniamo tutti e quattro in cabina a goderci la nostra intimità, col balconcino parziale e il sole.
Ci godiamo il sole e la musica del mare.
Peccato manchi ancora la sedia che la sera prima abbiamo chiesto di cambiarci perché rotta, ma il nostro stuart ci assicura che per sera ce ne consegnerà una buona.
La passeggiata a Barcellona è stata molto bella.
Siamo scesi con calma, dopo pranzo, e abbiamo preso l'autobus blu che con 3€ a testa e 0 per le bambine (anziché 6, come proposto dalla Costa, per noi grandi più la bimba grande) ci accompagna e ci viene a riprendere sotto la statua di Colombo che indica il mare. Abbiamo fatto una bella passeggiata sulla Rambla, una puntatina alla Bouquerie e siamo tornati alla statua di Colombo passando dal Barrio Gotico perdendoci tra le meravigliose viette laterali.
Dopo tre bellissime ore eravamo nuovamente in nave a fare merenda con la pizza - disponibile tutto il giorno - anche se avremmo preferito un dolcetto o il gelato.
Dopo aver visto la nave partire, e finalmente ne sentiamo il suono, ceniamo al solito tavolo; poco dopo torniamo in cabina. Purtroppo la sedia esterna ancora non c'è; iniziamo così a rassegnarci all'idea che su questa nave non hanno le stesse attenzioni che avevano sull Norwegian Jade, ma poco importa. Sappiamo anche accontentarci. Purtroppo proprio quella sera dalla tv scompare il canale La7, sul quale proprio quiella sera davano un programma che adoro! Così spegniamo la tv e ci addormentiamo cullati dal mare; l'aria è tiepida, ci sono 23 gradi, e dormiamo con la portafinestra aperta. Che meraviglia il suono del mare! Peccato solo non poterlo vedere...
In piena notte apro gli occhi e vedo una splendida mezza luna con una stellona accanto, mi alzo in piedi e trovo il cielo riflesso sul mare.
Peccato mi sia riaddormentata all'istante!
Ma la culla del mare è irresistibile al sonno... almeno per me 

GIORNO 3: PALMA DE MALLORCA
Ci svegliamo al mattino presto col rumore degli ormeggi.
La nostra cabina è molto a prua, l'avevamo messo in conto. Mi precipito fuori e mi accorgo che l'aria è incredibilmente calda! Oggi si arriverà a 28 gradi, e io che ho portato esclusivamente cosine autunnali! Di fronte a noi ormeggia l'Aida Vita, la mia nave preferita... con quegli occhioni e il suo sorriso invitante. Ieri era con noi a Barcellona, la adoro! La prima volta la vidi a Santorini e me ne innamorai!
Scesi a Palma evitiamo accuratamente tutti i taxisti che si offrivano di farci fare il giro turistico dell'isola. Il nostro obiettivo, con due bambine piccole, è quello di fare una passeggiata in centro. Così non prendiamo neanche il bus turistico ma il bus n. 1 che con 1,50 € ad adulto e 5-6 fermate ci scarica al centro della città.
Abbiamo fatto una bella passeggiata, proprio come desideravamo, visitato il carinissimo centro, acquistato le ciabattine da mare alle bambine, assistito agli spettacoli degli artisti di strada (mai visti di più bravi). Bella la piazza Chopin, in cui io e mio marito ci siamo un po' riposati su una panchina, e le bambine si sono scatenate a correrci intorno scalze. Faceva caldissimo!
Poco più avanti, accanto ad una bella chiesa, ci siammo lasciati coccolare da un'enorme pianta di ulivo dal tronco spettacolare.
Sbucati da un altro angolo del centro, zona Piazza di Spagna, abbiamo preso lo stesso bus n. 1 e siamo tornati in nave.
Anche questa volta abbiamo fatto una bella passeggiata di tre ore, in cui ci siamo un po' sgranchiti le gambe e osservato un piccolo mondo nuovo.
Salutiamo Palma con la promessa di tornarci, la nave suona in partenza, cosa non fatta a Savona e iniziamo la navigazione di 24 ore verso Ajaccio.
Serata di gala in nave: la maggior parte degli ospiti, per lo più francesi, si sentono eleganti indossando una camicia a maniche corte. Qualcun altro ha la polo. Quasi mi pento di aver costretto mio marito a indossare la giacca, ma va bene così.
La cena purtroppo è piuttosto scadente, come sempre, e anche le torte che i camerieri portano orgogliosamente accompagnati da una musica che dovrebbe essere chic, è davvero poco invitante. Perfino le bambine la lasciano nel piatto. Però ci offrono lo spumante
In quella tratta il mare è davvero molto mosso, tanto che l'acqua dell'unica piccola piscina della nave, in cui andiamo a pucciarci nel pomeriggio su insistenza delle bambine, trabocca dalla vasca.
Trascorriamo una notte indimenticabile, mai ballato tanto in vita mia, d'altra parte è sabato sera e ci sta!!!
Nonostante tutto ci addormentiamo tranquilli, siamo felici di scoprire che nessuno di noi 4 soffre il mal di mare, e nonostante il letto non proprio comodo ci addormentiamo con la nostra portafinestra aperta, cullati dal suono del mare.

GIORNO 4: AJACCIO
Ci svegliamo verso le 7:30 col mare meno mosso; la nave quasi non si muove. Avremmo dormito di più se solo una delle nostre figlie non si fosse svegliata per andare a chiudere la porta-finestra. Andiamo a fare colazione presto e troviamo posto vicino alla vetrata che da sul mare, che meraviglia!
Oggi si scenderà ad Ajaccio con le lance, chissà perché?
Pranziamo al Taurus e scendiamo a terra con le scialuppe... e io che non soffro di claustrofobia, una volta salita su quelle scatolette angoscianti sento salirmi un po' di ansia.
Comunque arrivati ad Ajaccio andiamo verso sinistra, in direzione del centro ma... costeggiando il mare vediamo una bella spiaggetta piena di gente!!!
Così dimentichiamo tutto ciò che avevamo in mente di fare - cioé una passeggiata in centro - e ci fiondiamo in spiaggia, senza costumi, senza asciugamani, coi nostri abiti autunnali.
Le bambine le lascio giocare con la sabbia in mutandine e canottiere, io e mio marito rimaniamo in canottiera e pantaloni arrotolati
L'acqua è gelida, ma se avessimo avuto i costumi avremmo fatto sicuramente il bagno.
Fa caldissimo, un caldo che onestamente non pensavamo di trovare il 27 ottobre.
Tornando alla scialuppa passiamo per una bella piazza dedicata a Charles de Gaulle, in cui le nostre bambine che ballano la deliranza ci dicono che abbiamo fatto la scelta giusta a fermarci al mare.
Peccato però per il monumento di Napoleone...
La sera il tema è la bandiera italiana, al Taurus si cena con gli spaghetti all'amatriciana, i camerieri indossano degli imbarazzanti abiti tricolore e alla fine fanno ballare le ospiti sulle note di That's Amore.
Mi rendo conto di essermi affezionata ai due camerieri che seguono il nostro settore, sempre gentili, cortesi, con i loro autentici sorrisi indiani.
Torniamo in cabina e ci addormentiamo presto, con la porta finestra aperta, cullati dal mare che anche questa notte è abbastanza mosso. 

GIORNO 5: MARSIGLIA
Ed ecco arrivato l'ultimo giorno di crociera. Al mattino siamo tutti invitati nel teatro della nave dove ci verranno spiegate le modalità di sbarco, che avverrà il giorno seguente a Savona. Il direttore di crociera ci saluta e in effetti mi viene un po' il magone. L'idea di lasciare il mare mi intristisce sempre.
Al rientro in cabina troviamo le etichette con il colore e l'ora dello sbarco; a noi capitano quelle blu, che sono quelle di chi ha lasciato l'auto al parcheggio. Orario previsto per lo sbarco ore 10:30. Purtroppo ci viene detto di lasciare la cabina alle 8, e dopo la colazione ci troviamo a ciondolare per la nave con qualche centinaio di passeggeri col muso lungo.
I bagni "pubblici" rotti e sporchini...
Ma tutto questo avviene domani.

Pensiamo ad oggi: Marsiglia.

Dunque a Marsiglia siamo indecisi se sbarcare o meno. Se soltanto sulla nave ci fosse stata una piscina un po' più decente, e non quella vaschetta da 15 persone, probabilmente non saremmo neanche sbarcati. I commenti che avevo letto in rete non erano entusiasmanti e a guardare fuori dalla nave non si vede altro che il cemento del porto.
Pranziamo con comodo, facciamo il pisolino in cabina e poi fortunatamente decidiamo di scendere.
Dico "fortunatamente" perché a me Marsiglia è piaciuta molto.
Per arrivare in città bisogna prendere una navetta gratuita che passa a 500 metri dalla nave; da lì c'è un bel 20 minuti di strada, perché davvero il porto sembra non finire mai. Arriviamo in città e siamo abbastanza spaesati. Decidiamo di andare verso destra, verso una bella chiesa a righe che vediamo in quella direzione. Camminando camminando scopriamo che Marsiglia è la capitale della cultura del 2013, infatti passiamo accanto ad una zona di musei ultramoderni, sul mare, che fanno un po' a pugni con la bellezza trasandata della città. Palazzi con i panni stesi fuori, la chiesa a striscie bianche e nere che è davvero bella, ma abbandonata a se stessa. I marsigliesi stessi con quello sguardo fiero e strafottente che fa venire in mente quello che potrebbero avere gli zingari del mare, ossia i pirati.
Ed è questo il motivo per cui quella città mi è piaciuta moltissimo! Ha fatto riemergere in me qualcosa, come un ricordo di una mia vita passata in cui sono stata forse una zingara francese o un pirata.
Sono tornata sulla nave ringraziando Marsiglia per avermi riportato a galla un tale ricordo, se così si può dire. E devo dire che è piaciuta molto anche a mio marito, che adora i luoghi in cui l'aria profuma di libertà.

La nave ha lasciato Marsiglia che era buio pesto e lei, tutta illuminata, ci ha salutati infondendoci una gran voglia di riotornarci.

La sera purtroppo il mare non era mosso come le sere precedenti, ma era MOLTO mosso. Non siamo stati male per miracolo; questo ci ha aiutati ad apprezzare il ritorno a casa, anche se poi il nostro cervello ha continuato a ballare per qualche giorno a seguire.

Che dire, a distanza di un mese ricomincio a sognare il mare...

Alla prossima crociera, amici!



giovedì 14 novembre 2013

14 Novembre 2013

Stanotte, come una notte di Capodanno, aspettavamo gioiose le 4:50.
Mi sento afferrare un dito, quello con la fede. 

Mi sveglio, e' tutto addormentato. 
"Tienitelo stretto Giorgio".
Sorrido... sono le 2:56, la notte e' ancora lunga.
Chiudo gli occhi e mi abbandono alla festa. Li riapro dopo un bel po', e sono ancora le 2:56.
Il tempo si è soffermato a lungo su quell'ora, chissà cosa volevi dirmi.
Alle 4:50 arriva Giorgia nel mio letto, mi abbraccia con tutto il suo corpicino. Non ha più il broncospasmo con cui si e' addormentata ieri.
Quello è il tuo regalo per me.
Guardo la sveglia, e' ora di tornare in cielo.
Ciao Miki, salutami le stelle.

mercoledì 13 novembre 2013

Un mio racconto "sportivo"



 
Mister


La primavera era appena iniziata e Stefania si sentiva più stanca che mai.
Come ogni mercoledì uscì dal lavoro giusto in tempo per precipitarsi a prendere sua figlia a scuola, portarla di corsa a danza, e subito dopo la lezione fare un salto veloce al supermercato e tornare a casa, fare una doccia insieme, dare una rassettata alla casa e preparare qualcosa per cena.
Insomma tutti i giorni era la stessa storia: una corsa continua contro il tempo.
“Sono un’atleta”, si ripeteva, per trovare il coraggio di arrivare a fine giornata con un umore decente.

Era stanca, Stefania, come tutte le mamme dei suoi tempi, ma tutto sommato la sua vita le piaceva.
Se solo le giornate fossero durate 26 o 27 ore piuttosto che 24…

Quel pomeriggio, fuori dalla scuola, incrociò Paola, che stranamente quel giorno era riuscita ad uscire prima dal lavoro ed era lì, al posto dei suoi genitori, a prendere la sua bambina.
“Ciao capitano”, la salutò sorridendo.
Ogni volta che la vedeva prendeva come una boccata d'ossigeno. Anche Paola, che ammirava come un mito, era trafelata almeno quanto lei.
“Oh… Tp!” rispose la giovane donna, a differenza del solito cinque che le batteva ogni volta, in memoria dei bei vecchi tempi.
“Tutto bene?” le chiese Stefania stupita da quella variante nel suo saluto.
I particolari erano ciò che proprio non le sfuggiva… Se non l’avesse incrociata per due anni di seguito, ad esempio, si sarebbe stupita meno.

Paola era un tipo discreto, così le si avvicinò lentamente e le parlò sottovoce.
“Hai saputo del Mister?” chiese guardando da tutt’altra parte, sperando di ricevere una risposta anche solo lontanamente affermativa.
“Gianca? No, non so nulla!”
Paola sospirò.
“E' stato male.”
A Stefania accelerarono i battiti del cuore.
“… Oddio… quanto male?”
Michela se n'era andata da così poco tempo... non era passato neanche una anno! Non era pronta ad una ulteriore perdita di un pezzo del suo passato.
Il suo passato più dolce, quello della squadra.
“Non dirmi che ha il tumore anche lui, ti prego…” la implorò.
Ultimamente se ne stavano andando tutti così.
Era accaduto anche a Loris, il loro caro presidente… poi, dopo un paio d’anni, a Michela.
Non poteva essere già il turno di Giancarlo!
“Non si è capito bene cos'abbia... Ma non gli stanno dando molte speranze.”
A Stefania girò la testa.
“E' in ospedale?”
“Si, in terapia intensiva.”
“Mio dio.”
No. Stefania non era decisamente pronta ad un'altra brutta notizia.
“Pare abbia qualcosa all'intestino... Negli ultimi anni non ha fatto che mangiare schifezze, sempre dietro alla sua squadra di pallavolo! Non ha una donna che si occupi di lui, una fidanzata, una compagna, che so, una zia! Sai come sono gli uomini senza una donna vicino, no?! Si trascurano! E lui soprattutto non si rende conto che gli anni passano per tutti! L'eterno ragazzino!”
Paola era molto arrabbiata! Ebbe una reazione degna di una donna matura, come quella che dovrebbe avere una madre o una nonna.
In effetti a trentasei anni erano entrambe mamme…
Gianca invece quanti anni aveva?
... Sicuramente era più grande di loro quando aveva iniziato ad allenarle da ragazzine, poi erano diventati coetanei quando intorno ai diciotto anni avevano entrambe lasciato la squadra, ed ora... Gianca era decisamente molto più giovane di loro.
La sua vita andava al contrario rispetto a quella di qualunque altro mortale.
Per questo era contro natura immaginarlo moribondo!
“Lo stanno curando, almeno?” chiese Stefania con un filo di voce.
“So che l'hanno operato d'urgenza… E' andato in pronto soccorso quando il mal di pancia era diventato insopportabile. Pensava di cavarsela con due pasticche, quell'imbranato! So che gli hanno tolto subito una parte di intestino. Possiamo solo pregare per lui, Tp.”
Pregare... Stefania era atea da prima ancora che nascesse. Paola, questo, lo sapeva benissimo. Doveva essere davvero disperata per rivolgere proprio a lei quella richiesta.
“Oh Capitano... dici che se la caverà? Non sopporterei... non...”
Paola la abbracciò prima ancora che Stefania finisse la frase. Sapeva quanto stesse ancora soffrendo per la perdita di Michela.
“Non avrei mai voluto darti una notizia del genere. Ma mi sembrava giusto che lo sapessi.”

Stefania prese sua figlia a scuola e la fece salire in auto.
Sulla sua auto azzurra.
“Cos'hai mamma?”
Lei non le rispose nemmeno.
Notò per la prima volta che il colore della sua automobile coincideva con quello dell'auto che Gianca aveva ai tempi della pallavolo: una ritmo azzurra, su cui negli anni '80 riusciva a caricare una squadra intera con tanto di sacca dei palloni.
Stefania fece sedere sua figlia sul seggiolino, le allacciò le cinture...
“Le cinture...” sorrise tristemente.
Dieci ragazzine in un’auto, più l'allenatore, più i palloni.
“A quei tempi le leggi dovevano essere ben diverse…” farfugliò.
O più semplicemente Gianca aveva sempre rischiato il ritiro della patente per la sua squadra.

La pallavolo era tutta la sua vita.

Aveva iniziato ad allenarle da ragazzine, tutte sui 12 anni. Sembrava un gruppo promettente; lui a quell'età le giudicava dal piede.
Aveva creduto in loro da subito, e infatti nel giro di pochi anni aveva una rosa di sei titolari di cui la più bassa, che solo i più intimi chiamavano “Tp”, era alta un metro e sessantanove e aveva una schiacciata formidabile.
Il capitano, Paola, era conosciuta e rispettata dalle squadre avversarie, e veniva chiamata da tutti “il fenomeno.”
Da una squadretta dell'oratorio in pochissimo tempo erano diventate una temibile squadra di prima categoria, corteggiata da alcune delle più importanti associazioni sportive del milanese.
Ma poi, purtroppo...
Tp fu costretta ad abbandonare la sua adorata squadra sul più bello. Era la schiacciatrice più imprevedibile che si conoscesse, ambidestra dalla nascita saltava più in alto delle ragazze molto più alte di lei.
Quando schiacciava sembrava volare.
Per le avversarie, Stefania Tp era “l'angelo nero”; eterea e spietata riusciva a schiacciare sulla linea dei tre metri senza nemmeno sfruttare la diagonale, e quando prendeva di mira un'avversaria allora diventava un vero e proprio cecchino. Solo gli occhi blu del suo capitano riuscivano a placare l’odio immotivato che ogni tanto s’impossessava di lei. Fosse stato per Gianca, invece, le avrebbe lasciato massacrare le avversarie senza alcun ritegno!
Non che Stefania fosse una persona cattiva, ma quando entrava in campo era come se entrasse in guerra. E lei, da “angelo nero” quale era, odiava perdere.

Purtroppo perse la guerra più importante: quella contro la natura.
Nonostante le visite agonistiche a cui veniva spesso sottoposta nessuno si era mai accorto dei suoi cinquanta gradi di scoliosi.
Se ne accorse quasi per caso il suo medico di base, quando  un giorno la visitò per un'asma allergica stagionale, e notò, mentre le auscultava le spalle, la grave, innaturale curva della sua colonna vertebrale.
Così, con un'ingessatura alla schiena lunga un anno, si concluse la sua brillante carriera da pallavolista, a soli diciotto anni.
Paola, “il fenomeno”, venne acquistata da una squadra di serie B.
Ma anche la sua carriera non durò a lungo: senza Gianca, Tp... senza la sua squadra non riuscì a rendere la metà di quanto valeva.
Così nel giro di poco tempo smise di giocare anche lei, la squadra si sciolse, Gianca ricominciò ad allenare una squadra di ragazzine e da allora andò avanti ricominciando, ricominciando e ricominciando, fino a quando non si ritrovò in ospedale, nella primavera del 2012, in un reparto di rianimazione, con un infarto intestinale.

“Non riesco a venire a trovarlo, capitano…”, si giustificò  Stefania abbassando lo sguardo, una settimana dopo.
“Non devi sforzarti. Però se è solo paura di impressionarti... beh, sbagli... lui dorme... dorme e basta. Sai, dicono che potenzialmente potrebbe sentire tutto… Potrebbe fargli bene ascoltare delle voci amiche... Bisogna trovare lo stimolo giusto per farlo reagire. Però se non te la senti non c’è problema. Tanto c'è la processione ogni volta che vado da lui. Noi siamo solo le più vecchie... magari nemmeno si ricorda di noi.”
“Esagerata!” sorrise Stefania, che conosceva bene Gianca e sapeva che mai e poi mai si sarebbe dimenticato di loro.
“Mica tanto... ha delle allieve di dodici anni. Quante ragazze avrà allenato dopo di noi?”
“Mi sa tante”, sorrise Stefania.

“Ricordi quando ti presentasti agli allenamenti con gli occhiali da sole?” disse Paola.
“Con Michela ci abbiamo riso fino al suo ultimo giorno di vita...”
“Povera Michela… ricordi quando andava in battuta?” chiese Paola.
Stefania annuì.
“Colpiva la palla e poi faceva un saltello...” si commosse. “Questa è la cosa che più mi manca di lei. L'immagine che proprio non riesco a superare... il ricordo della sua battuta.”
“Gianca ce la farà”, disse Stefania tra i denti.
Poi guardò Paola negli occhi.
“Mi hai chiesto di pregare, e io ho pregato Michela. Giancarlo ce la farà.”
Tp non aveva mai visto il suo capitano piangere. Nemmeno quando da ragazzine Gianca le sgridava sul campo, urlando come un pazzo! Nessuno resisteva alla tentazione di piangere. Quelle urla erano peggio di una pallonata sul naso, ma non per Paola, che non piangeva mai.
Era un tipo orgoglioso il suo capitano, forse per questo Gianca aveva scelto lei per quel ruolo.



“Verrò a trovarlo”, le disse un pomeriggio di inizio estate.
A Paola brillarono gli occhi.
“Dici sul serio?”
“Si, verrò”, continuò titubante.
Era stata vicino a Michela, in quei suoi ultimi giorni di vita, e sapeva quanto fosse doloroso stare accanto ad una persona in bilico tra la vita e la morte.
Ma non voleva rischiare di non vedere mai più il suo Mister.
Le sue condizioni erano critiche ma stazionarie. Lo avevano operato altre undici volte nel frattempo; tentavano disperatamente di salvarlo.
Il padre di una sua giovane allieva lo aveva fatto trasferire nell’ospedale in cui lavorava per assisterlo più da vicino.
Il problema principale, a quel punto, era la sua totale mancanza di reazioni.
Anche quando lo toglievano dal coma farmacologico lui non reagiva in alcun modo. Era finito come in un mondo tutto suo dal quale non poteva, o non voleva riemergere.
Non sentiva nemmeno le voci di chi andava a trovarlo.
“Mi accompagni tu, però”, le chiese intimorita Stefania.
“Ma certo”, rispose prontamente Paola.
In cuor suo sapeva che a Gianca avrebbe fatto bene sentire la sua presenza.

Il giorno stabilito per la visita in ospedale arrivò più veloce del previsto.
Stefania non era affatto pronta a quell’incontro. Non era mai pronta ad incontrare dei morti viventi. Erano sempre stati il suo incubo peggiore. Li sognava fin da bambina: morti che si muovevano, che respiravano...
Ma Gianca non era morto, Gianca ce la doveva fare: era il suo Mister!

Per trovare il coraggio si ritrovò a compiere un gesto che prima di allora aveva fatto una sola altra volta, in una situazione troppo simile a quella.
Tirò fuori la sua divisa di pallavolo, ne ammirò il numero, l'insostituibile 7. Non avrebbe saputo giocare senza quel numero sulla schiena e sul cuore. La strinse forte a sé, la annusò. Le parve di sentire quel profumo di palestra e palloni che credeva di aver dimenticato.
La indossò come si indossa un cimelio.
Poi la coprì con una felpa. Non voleva che gli altri la notassero. Avrebbero potuto provare pietà per lei. Sarebbe stato intollerabile.
La sensazione di quella divisa sulla pelle le restituì il coraggio dei tempi passati. Raccolse i capelli, in una lunga coda... ricordò quante invasioni di campo aveva fatto coi suoi capelli, con quanti arbitri aveva avuto da ridire per quella sua coda bionda, ma mai era scesa al compromesso di tagliarla o ingabbiarla in uno chignon.
L'angelo nero aveva la coda. Punto.

Arrivò ai piedi dell'ospedale dove c'era Paola ad aspettarla.
“Scusa il ritardo...” disse imbarazzata.
“Non preoccuparti, sono appena arrivata anch'io”, mentì Paola, comprendendola.
Entrarono in ospedale e a Stefania parve di sentire le voci di una palestra gremita di gente.
I fari che la illuminavano erano accecanti e lei… stava per schiacciare! Ma mancò la palla.
Gli spettatori la guardarono increduli. Un errore del genere era imperdonabile!
L'angelo nero non sbagliava le schiacciate in quel modo!
“La luce...” farfugliò ad alta voce.
Paola la guardò preoccupata.
“No, nulla...” proseguì Stefania, estraendo gli occhiali da sole dalla borsetta.
Gianca, in panchina, rise divertito. Stavolta non l'avrebbe allontanata dalla palestra, come fece qualche anno prima, quando agli allenamenti si presentò indossando gli occhiali da sole.
Stava troppo male per infuriarsi.
Salirono prendendo le scale dell'ospedale; Paola aveva la fobia degli ascensori.
Finalmente giunsero in reparto.
“E' in quella stanza lì... l'ultima sulla destra...”
“Vai avanti tu?” chiese mestamente Stefania.
“Ma certo”, rispose l’amica, fingendosi coraggiosa.

L'odore della palestra travolse Stefania, questa volta in maniera più decisa.
La gente faceva il tifo per lei, e stavolta era in prima linea: non avrebbe fallito.
Arrivò una bordata dall'altra parte del campo, la ricezione non fu delle migliori ma arrivò all'alzatore in maniera sufficiente per servirle un’alzata impeccabile.
Allora Stefania inspirò profondamente e spiccò un volo mai visto prima.
“Angelo nero! Angelo nero!”
Tra quelle voci riconobbe quella di Michela.
“Non temere Tp, te l’ho promesso! Ce la farà!”
E lei arrivò a sfiorare le stelle. La visuale del campo, da lassù, era chiarissima, c'era un buco enorme proprio di fronte a lei, nell'angolo destro del campo.
La sua posizione, in quel momento, era la sua preferita: quella da fuori mano, proprio sulla destra... così ricorse alla mano sinistra... quella che non perdonava.

“Ciao Gianca”, disse Paola.
Stefania schiacciò con tutta la forza che aveva. Il tonfo del pallone, sull'angolo destro del campo, echeggiò in tutta la palestra.

“Ciao Tp”, rispose Giancarlo dal suo letto d'ospedale.
“Mancavi solo tu.”

Giancarlo lentamente si riprese e dopo un paio di mesi era nuovamente su un campo di pallavolo.
Con lo stesso entusiasmo di prima e un’età che era sempre più difficile da definire; col solito pacchetto di patatine nel borsone, che lo attendeva per cena.
Stefania, invece, aveva ricominciato a sentire il profumo delle palestre, ma non solo col cuore!
A sua figlia, infatti, era passato il desiderio di indossare un tutù e trascorrere due pomeriggi alla settimana in una scuola di danza. Giorgia aveva appeso le scarpette al chiodo e recuperato un paio di ginocchiere e una vecchia divisa dall’armadio di sua madre…
Il numero che scelse fu ovviamente il 7.
Il suo Mister?
Provate a indovinarlo.

“Mister” – Racconto inedito di Stefania Trapani