venerdì 19 dicembre 2014

- 7 giorni: La "cosa" più bella della mia vita

Arrivata senza farsi pregare, senza scomodare gli angeli, senza uccidermi di dolore.
La mia rosellina d'aprile.
Dolce da quando ha visto il mondo, buona come suo padre, mai scassato le palle una volta in 3 anni e 8 mesi.
Solo a pronunciare il suo nome mi sciolgo:
GIULIA ROSE.
Dolce come il nome che porta, qualunque dolore o preoccupazione io abbia, basta un suo abbraccio per farmi passare tutto.
Da grande inventerà una professione: farà l'abbracciatrice e manterrà tutta la famiglia.
Perché con il padre violinista, la madre scrittrice, la sorella maggiore pittrice... l'unica nostra speranza è riposta in lei, con i suoi abbracci.
Avrà un suo studio, accoglierà i pazienti con un camice lilla.

"Cosa sono quegli occhi tristi?"
"Sa, dottoressa, mi va tutto storto".
Lei allarga le sue braccia, e abbraccia, e consola, e perdona, abbraccia, consola.
"Mi sento meglio, dottoressa. Non so come ringraziarla. Quanto le devo?"
"Sono 50 euro, grazie"
"Ma che, sta scherzando?? Io gliene do 200. Ci vediamo la prossima settimana."
La nostra abbracciatrice professionista, con gli abbracci che curano l'anima.
Con quei suoi due occhi grigi dalla profondità infinita, un cuoricino al posto delle labbra, quel suo modo di parlare...
Qualcuno mi raccolga.


martedì 16 dicembre 2014

- 10 giorni: LUI

E poi a un certo punto, quando mi convinco che l'intero universo maschile sia uno schifo, arriva lui.
I suoi predecessori gli hanno steso metri e metri di tappeto rosso, suonato trombe, liberato colombe.
Lo conosco in maniera miracolosa, poi lo incontro a una festa in casa mia, negli unici sei mesi in cui vivo da sola.
La gentilezza fatta persona, così a modo che penso che sicuramente è gay, come tutti gli uomini migliori.
Ma il giorno dopo mi telefona, al mio compleanno mi fa gli auguri suonandomi al telefono una musichetta al pianoforte che fa partire il fax...
Mi invita a festeggiare con lui e i suoi amici il capodanno, alla festa sono tutti gay.
Dopo due giorni lo invito a cena a casa mia, scongelo due confezioni di salti in padella - a ventinove anni cucinavo così - poi andiamo dalla mia amica sposina giù al primo piano, che mi dice "questo è il migliore di tutti" e io le rispondo "ma non siamo insieme, è gay".
E invece aveva ragione lei.
Dopo sei mesi vivemao insieme, io intanto aspettavo che tirasse fuori il lato brutto del suo carattere.
Dopo 11 anni, di cui 10 e mezzo di convivenza e due figlie, sono ancora qui che aspetto.
Giorgio, l'uomo più gentile dell'universo, il più felice, buono - non gli ho mai sentito dire una cattiva parola su nessuno - onesto, umile, fantasioso, leggero, ironico, intelligente, dolce, carismatico, è il mio uomo.
E io, che sono sempre scontenta di tutto, non sono scontenta di lui.
Anzi, mi ripeto che non lo merito.
Che la mattina si sveglia un'ora prima per preparare la colazione a me e alle bambine, che mi vizia in tutti imodi, che mette la mia felicità prima della sua. Che mi dice che è felice delle bambine, ma che più di tutto è felice di me.
Non lo merito, ma ringrazio la vita, che è stata molto gentile con me :-)

Dal mio romanzo inedito:



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Aveva conosciuto Giorgio tre mesi prima su internet; non in uno di quei siti appositamente dedicati agli incontri di coppia, figurarsi, Giulia quei covi di assatanati li evitava come la peste.
Giorgio aveva trovato il suo blog per caso; era una calda notte di fine estate, e lui era incappato per sbaglio in una sua poesia mentre navigava alla ricerca di nuove idee per la creazione di un sito web. Non era solito lasciare segni dei suoi passaggi virtuali negli innumerevoli siti in cui scivolava, ma quella volta gli sfuggì un breve commento, al quale lei non esitò a rispondere.
Giulia si stupì molto per quell’incontro, così gli chiese come avesse fatto a sbucare dal nulla in quel modo. Era davvero impossibile scovare quel suo rifugio segreto, a meno che non se ne conoscesse il link.
Lui le rispose con una lunga lettera, in cui le parlò del nulla…
Così, quasi senza accorgersene, si trovarono a scriversi delle e-mail a cadenza settimanale, in cui lui le raccontava del suo amore per la musica e lei gli parlava di poesia.
A nessuno dei due era venuto in mente di invitare l’altro a prendere un aperitivo, ad esempio, per incontrarsi davvero, sebbene abitassero ad una trentina di chilometri di distanza. Fino a quando non si scambiarono un invito nello stesso identico istante.
Erano trascorsi quattro mesi da quel loro fortuito incontro, e mentre lui le scriveva che il ventitré dicembre avrebbe suonato col suo Quartetto a Milano, e la invitava al concerto, lei, nello stesso momento, lo invitava alla festa che aveva organizzato proprio per quella sera a casa sua.
Era evidente che la vita aveva scelto per loro una data; avrebbe potuto evitare, però, di comunicarlo a entrambi nello stesso identico istante!
Decisero così, rigorosamente tramite e-mail, che si sarebbero incontrati dopo il concerto di Giorgio, alla festa di Giulia.
Così Giulia arrivò alla sera di quel ventitré dicembre, maledicendo Fabrizio e fantasticando su Giorgio.

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Tre ore prima dell’inizio della festa, Giulia si trovava in fila alla cassa del supermercato vicino casa, con un carrello strapieno di cibarie, dieci persone in fila prima del suo turno e un tempo d’attesa di almeno mezz’ora. Aveva pochissimo tempo per correre a casa, dare una rassettata generale, preparare tartine e dolcetti, spargere le candele e accogliere gli ospiti!
Ma anche quella volta il tempo fu clemente con lei.
Era una sua qualità innata quella di riuscire ad arrivare sempre puntualissima, nonostante i contrattempi, ai suoi appuntamenti.
Alle dieci di sera, quando iniziarono ad arrivare gli ospiti, aveva appena passato il rossetto sulle labbra, e ogni cosa era magicamente al suo posto.
Iniziò a convincersi di avere la capacità soprannaturale di rallentare il tempo, e poi dilatarlo; di volgerlo insomma sempre a suo favore. Anche sforzandosi non riusciva proprio a trovare un’altra spiegazione a quell’altalena temporale!

Gli ospiti iniziavano ad arrivare, a processione.
Dapprima le amiche, coi loro complimenti di routine come-hai-addobbato-bene-casa, che-bella-cera-che-hai, cosa affatto vera poiché la sua stanchezza era evidente anche con due centimetri di fondotinta; poi arrivarono i ragazzi, prima i suoi amici, poi gli amici delle mie amiche.
Ma l’ospite più atteso tardava ad arrivare e l’ansia saliva vertiginosamente. Era il suo primo appuntamento al buio!
Tutto ciò che conosceva di quell’uomo era il suo nome, Giorgio, che di mestiere faceva il violinista - qualcosa che apparteneva a un’altra epoca, così affascinante! - che aveva praticamente la sua stessa età e non abitava molto distante da lei.
Non riusciva a immaginarselo fisicamente, non aveva mai visto una sua foto né sentito la sua voce. Si erano scritti una quindicina di e-mail in quei mesi, nelle quali entrambi avevano evitato di descriversi esteriormente ma dalle quali era trapelata una rara gentilezza di lui… qualcosa a cui lei non era abituata.
In genere chiunque la incontrasse la invitava a uscire il giorno dopo; lui non lo aveva fatto. Era questo che più di tutto la incuriosiva.
Non sapeva se fosse un bel ragazzo o meno, e nemmeno se fosse già impegnato. Ovviamente sperava che fosse bellissimo e single… in qualunque caso sarebbe diventato importante per lei. Non le fosse piaciuto fisicamente – o fosse stato sposato - sarebbe diventato quantomeno il suo migliore amico.

Poco prima della mezzanotte suonò il citofono.
Dall'altra stanza le sue amiche cinguettarono Giulia-corri-sono-arrivati!, oddio-che-emozione-che-emozioooneee!, e lei corse, il tempo le venne incontro rallentando impercettibilmente… riprese fiato, rispose:  «venite!» con forse troppo entusiasmo.
Ebbe giusto un attimo per guardarsi allo specchio: i capelli non le stavano affatto bene, e quegli occhi stanchi… le ricordarono gli occhi che aveva giurato di non volere rivedere mai più!

Li aveva truccati troppo.

Sei mesi… erano trascorsi appena sei mesi dalla fine dell’incubo.
Come era riuscita a fuggirne?
Abbassò lo sguardo.
Si guardò nuovamente allo specchio, con una tristezza infinita.
Ne era fuggita davvero, o stava solo sognando?
Giulia-vieni-sono-arrivati! Provò a scuoterla Michela.
Giulia guardò sua sorella, riflessa nello specchio.
La vide svanire.
Due mani le cinsero la vita.
Un bacio sul collo.
«Sei bellissima», le sussurrò David, sfoggiando il suo sorriso migliore, «stasera faremo scintille.»

Giulia odiava quel sorriso.
Giulia odiava Los Angeles.
 

sabato 13 dicembre 2014

- 13 giorni: mio padre

Mio padre.
L'uomo più intelligente e irascibile dell'universo.
Buono, calmo, la voce sottile, poi d'un tratto va in escandescenza e diventa un demonio.
Un'indole complicata, zitto per ore, fa di quelle sparate da lasciare a bocca aperta.
Increduli.
Non possono uscire da lui certe bestialità.
Gentile, a modo, umile.
Lo dissero una volta di me, che ero come i gattini. Che stanno lì buoni buoni  poi di colpo ti saltano agli occhi e ti sfregiano senza pietà.
Mio padre, la persona che mi assomiglia più di tutte.
Stesso caratteraccio, stesso viso.
Stesso intuito, intelligenza, stesso senso degli affari.
Anche se io, di tutto questo non me ne farò mai nulla.
Decimo di dieci figli, arrivato quando mia nonna sperava di essere in menopausa, nacque alla fine della seconda guerra mondiale. In una famiglia che aveva fatto la fame, vissuto il terrore, ma che a lui - il piccolo di casa - diede il  meglio.
Il meglio di niente.
Ma sono le intenzioni che contano, il più delle volte.
Visse in Sicilia fino a dodici anni, si trasferì in Romagna con la sua famiglia dove fece il contadino, e poi dai diciassette a Milano, dove iniziò a lavorare il ferro. Conobbe mia madre e la sposò, nel frattempo avviò un'attività in proprio che ancora esiste, e andrebbe a gonfie vele se non fosse per questa maledetta crisi.
Due occhi verdi che mia madre vede azzurri, una fronte spazioooosa, il naso aquilino.
Rughe portate con orgoglio, la schiena dritta, le mani consumate dal lavoro.
Le nostre litigate a tavola sono memorabili.
Due fulmini che si scontrano con la stessa potenza.
La vita si è divertita regalandoci lo stesso carattere ma le idee opposte.
Abbiamo dato di quegli spettacoli io e lui...
Molte cose non gli ho mai perdonato, altrettante non le ha perdonate a me.
Senza dubbio mi ha evitato di compiere numerosi sbagli, con quei suoi modi poco raccomandabili, ma me ne ha fatti fare altrettanti, nell'idiota tentativo di vendicarmi di lui.
Come quando iniziai a fumare. Lo feci per fargli un dispetto, ma in realtà il dispetto lo stavo facendo a me stessa.
Mi ha permesso di vivere una vita agiata, evitato la disperazione, fatto sorridere quando ero giù, demoralizzata quando ero su, amata SEMPRE.
E io l'ho amato, odiato, ammirato, disprezzato, maledetto, benedetto.
C'è da diventare pazzi con lui!
Lunatico, bisbetico, insostituibile padre.
Unica immagine allo specchio che mi è sopportabile.

sabato 6 dicembre 2014

- 20 giorni: L'altra parte di me

La Stefania che appartiene al mio primo ricordo.
Ci sono io, una bambina qualunque, che scappa dalla mano del nonno e attraversa una strada correndo; Ninetta e Lisa che attraversano un attimo prima di me, si voltano, urlano: non passareeeeeeeee.
Ricordo l'impatto, un rumore che mi entra dentro, un calore alla testa, vedo tutto rosso. Tutto rosso e poi tutto nero. E poi vedo una bambina per terra, la vedo dall'alto, avvolta nel buio. E' per terra,  in posizione fetale. La osservo meglio. Sono io! Ma come posso essere laggiù, e allo stesso tempo quassù?
Questo è il mio primo ricordo.
Da allora molte volte mi accadono cose inspiegabili, ma reali, come reale fu quello sdoppiamento.
Ad esempio, ma non mi accade da tempo, sento i miei custodi.
Li chiamo così, perché istintivamento penso che siano dei miei antenati - sono antichissimi - ed esistano per custodire me. Magari non solo me, ma sicuramente ANCHE me. E ogni volta in cui mi succede qualcosa che stravolge la mia esistenza, un evento potentissimo che magari può sembrare banale ma per me è di importanza vitale, loro si manifestano. Non so se li ho sempre accanto e solo in alcuni momenti riesco a sentirli. O se vengono a trovarmi ogni tanto. Non so esattamente nemmeno che forma abbiano, cosa realmente siano. Conosco però le sensazioni che mi trasmettono. E cioè... calore. Senso di protezione. Come se qualcuno mi sussurrasse "non avere paura, non sei sola. Ci siamo noi qui con te".
Ma loro non parlano. Quando li sento - nel dormiveglia - loro ci sono e basta. La loro penombra è una luce fioca che da sul giallo, giallo scuro. Ed è come se stessero festeggiando. Sono sempre in una stanza accanto alla mia, e in genere festeggiano. Festeggiano i miei passaggi importanti, credo. L'ultima volta riuscii a percepirli quando arrivò Giorgia. Non sapevo ancora di essere incinta, forse non lo ero ancora, forse festeggiarono la rinascita della mia bambina dentro di me. Forse l'accompagnarono loro, forse uno di loro si rincarnava, so che si manifestarono per molte notti di seguito. E io quasi mi spaventai. Pensai che fossero venuti a prendermi - perché so che sarà così: quando arriverà il mio momento, verranno a prendermi - e invece erano venuti a portarmi lei :-)
Tutte le cose strane che mi accadono, mi succedono sempre nel dormiveglia. Quando il mio corpo è addormentato e probabilmente la mia mente è persa in qualche sogno. Ma quella parte di me, la terza, è sospesa e ricettiva.
Come quando percepii il funerale di mia nonna un mese prima che morisse. Vidi chi c'era e chi non c'era, e il giorno del suo funerale, c'erano e non c'erano le persone che già sapevo.
Come quando quella notte mi ritrovai per aria, vagavo per le stanze... guardai Giorgia che dormiva nel suo lettino, vidi me stessa abbracciata a Giorgio, sbirciai Giulia Rose di 4 mesi che dormiva nel mio pancione. Sorrisi. Era una femmina!
Ma quel sorriso non era mio.
Ridevo con la bocca di Michela.
Il mio corpo addormentato aprì gli occhi. Vide una luce bianca sopra di se, come il flash di una fotocamera. Un flash che fece il giro della stanza e volò via, alla velocità della luce.
Urlai.
Poi piansi.
Poi dissi a Giorgio che Miki non c'era più.

A volte sento il profumo di mia nonna da sveglia. Allora chiudo gli occhi e lo seguo. E ogni volta che li riapro, sono sotto la sua foto in camera mia.

A volte chiudo gli occhi e vedo dei paesaggi nitidi, mai visti prima, ma che mi danno un tale conforto, un tale senso di CASA, che in questo mondo non ha eguali.

A volte incontro dei volti che mi guardano mentre dormo. Non sono quelli dei miei custodi. Se solo trovassi il coraggio di chiedere loro cosa vogliono. Se solo potessi fare qualcosa per loro.

A volte qualcuno mi soffia sul volto, ma non c'è nessuno. Allora mi rilasso e respiro quell'aria fresca e leggera che sa di respiro di neonato.

A volte...

A volte, sono anche così.

martedì 2 dicembre 2014

Giorno 5: i bambini vanno protetti finché sono indifesi

Perché a 8 anni un bambino è indifeso.
Adesso i genitori del piccolo Loris piangono e si disperano alla tv. Cosa gli costava accompagnarlo fino all'ingresso della scuola e aspettare di vederlo arrivare in fondo ai corridoi?
Certo, non è colpa loro se esistono i mostri, è però colpa loro essersi comportati fingendo che non sia così!
Ah, ma nei paesini non succede, ai nostri tempi non succedeva!
Ai-nostri-tempi-non-succedeva-un-cazzo!
Succedeva, eccome.
Ai miei tempi, in un paesino, si usava mandare i bambini a scuola da soli, già dalle elementari. Non solo andavamo a scuola da soli, addirittura mi capitava di accompagnare mio fratello più piccolo alla materna, mettergli le pantofoline e il grembiulino, dargli il bacino e poi andare nella scuola accanto in prima elementare.
Ah ma adesso i bambini sono più svegli, dice il genitore del bimbo che a sei anni non sa ancora allacciarsi le scarpe.
Sapete...
C'era una volta una bambina che oltre che andare a scuola da sola, andava anche a ginnastica artistica da sola. La palestra era a duecento metri da casa, e lei due pomeriggi alla settimana percorreva una stradina isolata, con uno zaino più grande di lei sulle spalle, per poter raggiungere il luogo dove poteva scatenarsi a fare le ruote e le rovesciate.
Ma a ottobre cambiò l'orario, e a novembre di ritorno dalla palestra quella stradina diventava sempre più buia.
Una sera la bimba camminava spensierata, stanca per l'allenamento ma appagata, e vide un uomo in lontananza accanto a una 131 rossa, ma non ebbe paura. I mostri non avevano sembianze umane, questo le aveva insegnato la tv.
Quando gli passò accanto, lui - un uomo  sui quarant'anni, basso, cicciottello e pelato - le rivolse la parola.
Le disse: "ne vuoi un po'?"
La bimba alzò lo sguardo e si accorse inorridita che l'uomo, con i pantaloni abbassati, allungò una mano per afferrarla.
La bambina si spaventò molto, ma anziché rimanere paralizzata dalla paura, prese a correre con tutte le sue forze. Corse a perdifiato, portandosi dietro l'enorme zaino perché se lo avesse perso una sculacciata non gliela avrebbe tolta nessuno. L'uomo salì in auto e la inseguì, ma lei corse, prese delle scorciatoie, si infilò nel cortile dal retro e in un battibaleno era davanti casa sua che non riusciva a parlare per quanto piangeva.
La madre della bambina iniziò a piangere anche lei, il padre uscì furibondo: se lo becco lo ammazzo.
Il padre non trovò il maniaco, la madre smise di piangere, e dopo un paio di settimane la bambina si trovò a percorrere quella stessa strada da sola. Con una paura indicibile, ma sola.
Se quella bambina fosse stata violentata e assassinata, immagino che la sua famiglia si sarebbe disperata. Ne avrebbero parlato i giornali, avrebbero posto una taglia sulla testa del mostro.
Quella bambina che adesso ha quarant'anni sa che i mostri esistono e che hanno sembianze umane.
E le sue figlie le protegge, le accompagna e le va a prendere ovunque, non le lascia sole in auto, non le perde mai di vista. E lo farà finché le sue bambine non potranno difendersi da sole. Cioè finché non saranno alte un metro e settanta e saranno in grado di prendere a calci nel culo un maniaco.
Perché di maniaci ce ne saranno sempre tanti. Di genitori attenti e premurosi ce ne sono ancora pochi.

lunedì 1 dicembre 2014

Ultimo mese da 39enne: giorno 4.

Una neonata paffuta e morettina. Mia madre la vede e decide che è giunto il momento anche per lei di avere una figlia femmina. Mio fratello grande ormai ha quasi 5 anni. Mio padre non ha più scuse.
Come facevano una volta ad avere i figli quando volevano e sceglierne pure il sesso non si sa, comunque dopo 9 mesi arrivai io.
E quella neonata iniziava a stare seduta e mi guardava con due dolci occhi neri molto curiosi.
Unite da un pianerottolo, le porte di casa sempre aperte.
Insieme all'asilo, insieme alle elementari. Morì suo nonno e glielo dissi io. Si infuriò. Non era vero, ero una bugiarda. Quando suo padre si ammalò gravemente mia madre mi disse di non dirle nulla. Di non dirle che stava per morire a 33 anni quando lei ne aveva solo 8. Lo seppe dagli altri. Quella volta non si arrabbiò con me. Ma c'era Manu di 2 mesi, la sua sorellina un po' anche mia, e aveva una madre che viveva per lei. Senza grossi traumi la nostra vita andò avanti, frequentammo le medie insieme, le superiori, la ginnastica artistica, la pallavolo, il nuoto. I primi fidanzati insieme, il primo bacio insieme, poi lei si sposò, e quasi mi sposai anch'io ma il mio corpo si oppose. Mi venne una depressione fenomenale che mi devastò qualche anno, ma che mi fece lasciare quell'uomo tanto buono e gentile ma che non era giusto per me.
LEI intanto faceva la moglie e io la fidanzata, desiderò un figlio che non arrivava. Lasciò il marito quando io partii per la California. Andai via proprio in quei sei mesi in cui forse aveva più bisogno di me.
Ma certi treni, passano solo una volta.
Tornai e lei mi parlò di questo suo nuovo infinito amore, dopo qualche mese me lo presentò. Mi aspettavo un uomo alla sua altezza, un signore. Mi presentò uno con la faccia da bugiardo. Glielo dissi. Non me lo perdonò. Non mi parlò 5 anni. 5 anni in cui io, la sognai tutte le notti. Nel frattempo incontrai l'uomo che avrei sposato e che sarebbe diventato il padre delle mie figlie, lo sposai, nacque la mia prima figlia ma io tutte le notti sognavo LEI. Quando mi sposai le uniche lacrime che versai sull'altare furono perché LEI non era vicino a me. Quando nacque Giorgia e me la misero in braccio, e stavo per morire dissanguata e Giorgio piangeva, mia madre piangeva, il ginecologo bestemmiava, io pensavo a LEI.
Seppi da vie traverse che finalmente, dopo tanti anni era rimasta incinta. Sua figlia sarebbe nata 9 mesi dopo la mia. Dissi alle vie traverse che la gioia di questa notizie era identica a quella provata per la mia stessa gravidanza. La voce volò - non viaggiano solo le malelingue, per fortuna - e lei mi perdonò. Il 20 febbraio ci ritrovammo e fu come se quei 5 anni non fossero mai passati. Parlammo come se niente fosse accaduto e lei incinta, con i capelli neri lunghi fino alla schiena, era incantevole.
Nacque la sua bambina nello stesso ospedale in cui nacque la mia, andai a trovarla ogni giorno. Era felice e innamorata e increula. Aveva solo una strana ombra negli occhi. Quel nodulino le dava un po' fastidio, ma lo aveva già fatto vedere, non era nulla di grave. Lo avrebbe tenuto sotto controlllo. A sette mesi della bambina decisero di toglierle il latte. Il nodulino cresceva e in ospedale glielo riducevano agoaspirandoglielo, ed erano così sicuri che non fosse nulla di male che nemmeno analizzavano il liquido. Agoaspiravano, osservavano in controluce e buttavano nel lavandino. Solo che non poteva andare avanti così in eterno, e per assecondarla i medici decisero di intervenire chirurgicamente.
Al prericovero il senologo si mise le mani nei capelli.
Forse non è benigno, disse.
Le disse così.
La mandò in un centro specializzato e no, non era benigno. E ce l'aveva da un anno.
Nel 2010 a Milano un ospedale sbagliava una diagnosi.
Nel 2010 a Milano un ospedale assassinava una giovane donna, una giovane madre, una giovane figlia, amica, sorella, nipote.
Il 14 novembre del 2010, alle 4:45, dopo essere stata torturata un anno, MICHELA morì.
Michela, la mia unica AMICA.
L'unica sorella che non ho mai avuto e che non avrò mai più.