mercoledì 20 febbraio 2013

Siete tutti invitati!


Maledizioni moderne




Non so che livello di maledizione mandarti, brutto bastardo che mi hai spaccato il vetrino dell'auto.
Perché se me l'hai spaccato per farmi uno scherzo di carnevale allora sei un ragazzino... c'è ancora qualcuno che piangerebbe per te.
Se sei quell'idiota con cui ho litigato poco prima di entrare al Museo mi fai solo pena, povero figlio-di-papà-attempato-e-cocainomane... Non meriti nulla piu' di quel tormento che ti ho letto negli occhi.
Se me l'hai spaccato perche' non ho parcheggiato benissimo... sei proprio un povero frustrato! Di quelli che le mogli li tradiscono, e loro zitti e consenzienti concentrano le loro attenzioni sulle pignolerie automobilistiche... Così per non pensare a quanto sono cornuti!
Se me l'hai spaccato per rubarmi il navigatore mi fai solo pena! Un ladro sfigato! Neanche un navigatore sei stato capace di rubare!!!
Quindi ho pietà di te.
Non ti manderò una maledizione troppo pesante, nemmeno quella ti meriti.
Magari una bella delusione d'amore... di quelle per cui diventi scemo. Cioè più di quanto tu lo sia già, brutto infame sfigato!
Che tu sia maledetto!

mercoledì 13 febbraio 2013

Epilogo (a posteriori) di Portata dal Vento



Come da promessa eccomi qui a raccontarvi l’esperienza più devastante della mia vita; la più deludente. 
Avevo concluso "Portata dal Vento" che ero in uno stato di grazia, agli sgoccioli di quella gravidanza tanto cercata, arrivata come un miracolo quando ormai iniziavo a perdere le speranze.
Avevo paura del parto, certo, ma non mi sarei mai aspettata questa tragedia! 
La gravidanza era stata dolce e pesante, allo stesso modo mi aspettavo il finale… condendolo ovviamente con molto romanticismo.
Non desideravo altro che guardare il mio sogno negli occhi!
“Dimenticherai ogni dolore”, mi dicevano.
"Col cazzo!" rispondo oggi a quelle voci del mio passato.
Quel parto disumano non lo dimenticherò mai, questa è una delle poche certezze che ho. 
Mi basta chiudere gli occhi per rivedere quella gelida sala parto, l’arrivo delle contrazioni preannunciate dal monitor, la voglia di morire piuttosto che lasciarmi travolgere e massacrare da quelle ondate di dolore, paragonabili a venti ossa che si spezzano tutte insieme, come mi è capitato di leggere di recente.
E poi mi chiedo perché urlavo come una disperata!

Nessuna donna dovrebbe provare quel dolore. 

Partorissero gli uomini farebbero tutti il cesareo… e infatti io, da buon maschio (perché mi sento più maschio che femmina, #sapevatelo) per la seconda figlia ho preteso il cesareo programmato a 37 settimane. 

Ma a parte il dolore, che definire disumano è poco, la violenza… era proprio la violenza, di quello che doveva essere un atto d'amore, che non mi aspettavo. 
Ed è proprio quella violenza che mi ha ferita e umiliata... che ha rovinato tutto, insomma.

Ma andiamo con ordine.

Il 15 giugno mattina, a 40 settimane + 2 giorni  di gestazione, vado in ospedale con Giorgio a fare il secondo monitoraggio: la piccola è in ritardo e il liquido amniotico non è molto. Durante la visita il ginecologo mi effettua nuovamente lo scollamento delle membrane, dopo dieci giorni dalla prima, che questa volta, però, si rivela efficace. 
Infatti dopo 15 ore rompo le acque. 
Avevo trascorso tutto il giorno sul divano a ricamare l'ultimo dei tre fiocchi per la nascita di Giorgia, quello che avrei esposto all’ingresso della mia camera d'ospedale. E mentre ricamavo la pancia cambiava forma, si stava come appiattendo e abbassando... e poi quel bruciore di stomaco mi aveva proprio insospettita, tanto che avevo avvisato Giorgio di prepararsi.

Rompo le acque all'1:30 di notte del 16 giugno 2008, sveglio Giorgio che si era appena addormentato, ed emozionati andiamo subito in ospedale, dove mi ricoverano.
Mi accompagnano in sala travaglio e mi consegnano i braccialetti: due piccolissimi per la bambina (che tenerezza!) e due più grandi, uno per me e uno per Giorgio, che mai come in quel momento sento di amare con tutto il cuore.
In sala travaglio mi attaccano il monitoraggio e Giorgio si siede accanto a me su una poltroncina scomoda...  io vengo assalita da una tristezza infinita, mi rendo conto di quante volte ho dato per scontato le nostre notti abbracciati e fuori dal mondo… avrei dato qualunque cosa per poter trascorrere un’ultima notte sola con lui, nel nostro letto. 
Mi rendo conto che non saremo mai più in due e mi assale lo sconforto.

“Provi a dormire”, mi suggerisce l’ostetrica di turno.
“Come no!” le rispondo. 
Sta per nascere mia figlia e io posso fare tutto, tranne che dormire.
Restiamo svegli, in timida attesa, fino alle 7 di mattina, ma non succede nulla. Non ho alcun dolore, se non qualche mal di pancia lieve a intermittenze irregolari; infatti non mi sto dilatando.
Alle 7 chiamo mia madre dicendole di venire con calma. 
Dopo dieci minuti è già lì. 
Inizia ad alternarsi con Giorgio in quella sala travaglio, fino all’1 di pomeriggio, quando mi fanno una flebo di antibiotico dato che ho rotto le acque da oltre 12 ore e non ho ancora partorito; ovviamente non mi danno da mangiare.
Intanto le altre donne continuano a sfornare i loro bambini con urla strazianti che mi lasciano intuire quel qualcosa in più, che non volevo conoscere, su quel dolore. 

“Sei programmata per questo”, mi suggerisce Giorgio, tentando di rassicurarmi. 
Ma io muoio di paura.

I dolori sono sopportabili, vanno e vengono piuttosto regolarmente, ma io riesco a camminare, a ridere e scherzare, provo a sdrammatizzare! Se ci riesco è solo perché la dilatazione avviene lentamente: all'1:30 di notte ero di 2 cm, alle 17 ero di 5 cm. La strada era ancora lunga, dovevo arrivare a 10 cm, ma il collo dell'utero si era appianato…
"Se vuole, a questo punto, possiamo farle l'epidurale."
“I dolori sono molto più forti di questi?” chiedo, accorgendomi di sopportare benissimo quelle blande contrazioni. 
In quel momento mi spaventa più un ago infilato nella schiena che il parto in sè.
“Più o meno sì, sono questi” risponde la bastarda.
Così dopo averci pensato sù decido di no, che non voglio l’epidurale.
Lei mi dice di pensarci bene, perché da un certo punto in avanti non sarà più fattibile, ma io resto ferma sulle mie posizioni.

Che quello sia stato l’errore più grande della mia vita lo capisco dopo pochi minuti, quando mi passa la voglia di ridere. 

Non so più che ore sono, ma credo due o tre ore prima del parto, che avviene alle 21:50, quando inizio a sentire qualcosa di completamente diverso da quel solletichino di prima. 
Con Giorgio iniziamo a scaricare il dolore coi vocalizzi, come mi insegnarono al corso.
“Arriva, arriva… AAAAAAAAAA”
“Arriva, arriva... EEEEEEEEEEEEE”
Lui è sempre carino, non teme di apparire stupido, sebbene sia ancora lucido. In quel momento gli importa solo di me. 
Ma io inizio a non capire più niente.
Giorgio chiama l’ostetrica che ha appena cambiato il turno… una ragazzina di vent’anni!
Appena mi si avvicina le vomito quasi addosso.
Mi scuso… sono mortificata. 
Lei prende del disinfettante e pulisce alla meglio, sorridente. 
Dev'esserci abituata.
Non so più che ore sono (cos’è un orologio?!) so che sto male, da morire.
Il dolore arriva a ondate. 

Entra un medico con un gruppo di studenti. Gli mostra i dolori del parto. 
Sono orgogliosa di me, finché sono lì sorrido anziché mandarli al diavolo come vorrei! Sono mezza nuda, sudata, con gli occhi che sporgono più del solito, eppure riesco a mantenere un briciolo di dignità.
Per fortuna escono presto e io non ho più alcun controllo. Quel dolore mi manda fuori di testa, non c’è più alcuna sosta tra una contrazione e l’altra. 
L’onda anomala che ha terrorizzato i miei sogni, fin dall’infanzia, è arrivata.
Inizio a piangere e a tremare, quel dolore mi paralizza.
"Prova a voltarti su un fianco."
Rivomito.
Giorgio è impotente, vorrebbe esserci lui al mio posto, ne sono certa.
“Ricordati che sei una guerriera”, mi sussurra, ma io non riesco nemmeno più a sentirlo. 
Non lo vedo più, non vedo più nessuno. 
Solo una luce abbagliante, dev’esserci qualche faro puntato sopra di me e quel dolore inspiegabile, insopportabile… ho freddo. 
Venti ossa mi si spezzano contemporaneamente.
La famosa pausa tra una contrazione e l'altra comincia a diminuire fino ad annullarsi, fino a diventare una contrazione unica. 
Il dolore è un’onda interminabile: è devastante.
Giorgio chiede aiuto all'ostetrica, troppo giovane, che non si rende conto che sto per partorire: mi aveva visitata un quarto d'ora prima ma la dilatazione era di 7 centimetri e la bimba era ancora alta!
Io inizio a urlare dal dolore ma quella voce non è più la mia... la mia anima si è rifugiata in qualche angolo di quello sgabuzzino. Non capisco più niente, qualcosa mi sta trafiggendo e io non sono più una donna, ma dolore allo stato puro.
"Non ce la faccio più, muoio!"
Imploro l'aiuto di qualcuno... l'ostetrica allora mi sgrida!
“Non serve a nulla urlare così! Spaventi tutti!” (Probabilmente anche lei) “Devi incanalare tutte quelle energie nelle spinte!”
“Spingere...” non capisco più nulla ma quella parola mi ricorda qualcosa, e allora inizio a spingere, più forte che posso, e mi accorgo che spingendo il dolore diventa meno feroce. 

E' talmente forte il bisogno di liberarmi da quell’orrore che spingo forte... forse troppo forte... tanto che in quattro spinte la piccola è fuori. 
Nonostante le venti ore di travaglio la fase espulsiva è stata troppo veloce e i miei tessuti non hanno retto. 
Se solo l'ostetrica mi avesse effettuato l'episiotomia i danni sarebbero stati minori, ma la sua poca esperienza non ha aiutato…

Silenzio.

Non sento nemmeno il suo pianto.

“Se alzi la testa la vedi.”
“Vedo cosa?” mi chiedo. 
Non so più chi sono. 
Poi ho come un vago ricordo…
Vedo Giorgio che piange.
“Non la voglio vedere!” rispondo furiosa. 

Nessuno dovrebbe soffrire in quel modo.

Poi la vedo sbucare dall’alto… Due braccia la sorreggono... e lei è li, penzoloni... La mia bambina! Con le gambe e le braccia lunghe, il faccino tondo, i capelli bagnati… i capelli! Quanti capelli! Chi l’avrebbe mai detto...
Me la appoggiano addosso.
“Ciao AMORE…”, le dico, chiamandola per nome.
E lei, quella meraviglia che ho addosso, incazzata almeno quanto me, che tossisce e sputa sangue, smette di piangere appena si appoggia al  mio cuore… smettiamo di piangere e tremare insieme... ci scaldiamo e ci calmiamo, torniamo a essere una cosa sola, ma questa volta guardandoci negli occhi.
Non dimenticherò mai più quello sguardo. 
Quegli occhi neri che mi guardano curiosi, che riconoscono il mio respiro, la mia voce.
Il dolore è passato, e io mi consolo con quell’esserino caldo, quel pezzo di me.
“Spinga ancora che tiriamo fuori la placenta.”
Non sento più nulla, c’è come una bolla magica in quel momento, ci siamo io e lei, e nient’altro…
La placenta esce e la buttano in un cestino. 
Quell'immagine stride con ciò che sarebbe dovuto accadere... Avevo firmato per donarla... qualcosa doveva essere andato storto. 
C’è  troppa gente intorno a me, i medici e gli infermieri continuano a entrare.
Il ginecologo, mai visto prima, impreca.
“Chiamate l’anestesista!”
Guardo Giorgio.
“Stai tranquilla...” sorride, fingendosi sereno.
Mi portano via la bambina, sorridono nervosamente tutti. 
Entra una bella ragazza bionda. 
“Addormenttiamola!” le ordina il medico.
“Perché le anestesiste sono tutte belle?” mi chiedo stralunata.
Lei mi sorride e mette qualcosa nella flebo. 
“Ti girerà un po’ la testa...”
“Non potevate addormentarmi prima?” mi sembra di dirle, poi nuoto tra i pesci.

Riapro gli occhi un istante dopo.
Giorgio arriva con la bambina in braccio, arriva mia madre.
“Come hai fatto a entrare?”
“Riaddormentatela!” ringhia il ginecologo.
"Sangue, sangue, portatemi del sangue! Controlliamole l'utero! Signora, vada fuori! Cosa fa lei qui, senza camice! Senza scarpe sterili! Ma lo sa che questa è una sala operatoria?! Anche il marito! Fuori tutti!"
E’ Furioso.
Che ridere mia madre che si intrufola ovunque. 
Guardo Giorgio, stavolta è lui ad avere bisogno di me.
“Che bella che è…” sussurro. 
“Stai tranquillo” sorrido prima di tornare tra i pesci, e restarci, stavolta, un po' più a lungo.
Qualche ora, credo.
Mi sveglio una vita dopo, sono ancora in quell’odiosa sala parto, sono tutta intubata, e molto, molto incazzata.
Chiedo della bambina. 
E’ stata nove mesi dentro di me, non possono tenermela lontana così!
Mi dicono che è bellissima ed è al nido, ma alle 5 di notte non danno i bambini. Io inizio ad urlare come una forsennata, voglio la mia bambina! La esigo con tutte le mie forze!
Chiudo gli occhi, forse svengo. 
Quando li riapro c'è Giorgio accanto a me con la nostra piccola in braccio... la rivoglio sul cuore, con tutti intorno per la paura che la faccia cadere... 
Come possono non sapere che una mamma, anche se senza forze, non farebbe MAI cadere sua figlia?
E quella sarebbe la miglior clinica ostetrica di Milano...

Mi fanno firmare la liberatoria per le trasfusioni ma non me ne importa niente, me ne importa solo di lei, la mia piccolina, e di mio marito, che capisco dai suoi occhi quanto abbia pianto.

La permanenza in ospedale è stata lunga, ed è stata la cosa peggiore. 
Mi mancava la mia casa, mi mancavano le notti con Giorgio. E le forze che mi tornavano così lentamente... la febbre che non mi abbandonava e l'emoglobina che non superava la soglia del 5 non so cosa.
Doveva arrivare a 11 per dimettermi.
Dicevo ai medici di sentirmi bene, per farmi liberare, e loro che si chiedevano come facessi a stare in piedi.
Quando si diventa mamme si diventa più forti.
Sono i nostri piccoli a darci la forza, e in quelle notti disperate tenevo la mia bambina nel letto con me e mi appoggiavo a lei, per consolarmi.
Ero io ad avere bisogno di lei, non lei di me.
Lei era, ed è tutt'ora, una bambina fortissima. 
Si è attaccata al seno appena è nata e lo ha fatto talmente bene che in seconda giornata avevo già il latte, nonostante avessi perso due litri e mezzo di sangue.

Ora che l'ho scritto mi sento più leggera. 

Ovviamente consiglierò alle mie figlie, quando saranno grandi, di rifiutare il parto naturale. Nessuno merita di provare quei dolori, nemmeno l’essere più spregevole dell’universo. Figurarsi loro! 
Infatti di Giulia ho preteso il cesareo ed è stata un’esperienza meravigliosa. 
Darla alla luce senza dolore mi ha permesso di amarla da subito e ha permesso a lei di avere una mamma felice, da subito.

Questo è il parto che non volevo raccontare. 

Non volevo che mia figlia Giorgia conoscesse il modo drammatico in cui è venuta al mondo. 
Ho concluso "Portata dal Vento" con dolcezza, perché è così che si deve fare quando ci si rivolge a un bambino. 

Questa pagina è soltanto per chi pensa che quel finale sia stato un non-finale, insinuandomi il dubbio.
Spero di aver accontato i curiosi scrivendo un  finale un po' più finale.

Una pagina in cui viene fuori tutta la mia debolezza.

Anche questo mi suggerisce che sarei dovuta nascere maschio.

lunedì 11 febbraio 2013

Un nuovo finale per Portata dal Vento

Iniziano ad arrivare i giudizi sul mio primo romanzo.

Sono quasi tutti molto positivi, ovvio: è più facile fare dei complimenti che criticare.
Eppure i pareri che ho preferito sono stati proprio quelli negativi.
Riconosco i limiti di Portata dal Vento, è pur sempre una prima volta e come tutte le prime volte è ricco di trasporto ma i risultati migliori, si sa, si ottengono con l'esperienza (iettando sangu, avrebbe detto mia nonna Maria).
Soprattutto uno di questi pareri mi ha fatto riflettere.

Mi è stato detto che Portata dal Vento si conclude con un non-finale.

"Ma come!" ho risposto, "più finale di quello! Il libro parla del mio viaggio con Giorgia nella pancia,  non di qello che è accaduto dopo!"
A quelle parole mi sono sentita rispondere che almeno il racconto del parto avrei potuto inserirlo, anche a livello di epilogo... per i più curiosi.

In effetti ci avevo anche pensato; sarebbe stata una delle parti più sconvolgenti ed emozionanti... ma quel libro l'avevo scritto per le mie figlie, e volevo evitargli una conclusione così truce!
Che io l'abbia scritto per loro mi sembra chiaro, ed è giusto che finisca sulla nuvoletta da cui è iniziato.
E' il mio testamento d'amore per le mie figlie, non potevo certo imbrattarlo con quell'orrore!

Però, per correttezza nei confronti di chi ha creduto in questo mio primo lavoro, ho deciso di scrivere il racconto finale.
Contrariamente a quanto avevo immaginato, in questi quattro anni e mezzo non ho scordato nemmeno il più piccolo dettaglio di quelle ventuno-interminabili-ore-di-travaglio.

In molti dicono che una volta nato il figlio il parto si dimentica. Fosse stato così non avrei PRETESO e OTTENUTO il taglio cesareo per fare nascere la mia seconda figlia.

A breve la pubblicazione del nuovo finale su questo Blog: l'avete voluto voi.