lunedì 20 aprile 2020

Day 9. Diario di viaggio in California: Route 66

La mattina in cui abbiamo lasciato Joshua Tree eravamo davvero eccitati. Avremmo percorso oltre 500 Km per raggiungere il nostro hotel a un centinaio di chilometri dal Grand Canyon. Avevamo scelto di appoggiarci a Williams, una delle più belle cittadine sulla route 66, in posizione comoda per raggiungere il versante Sud del Grand Canyon (nel 2002 ero stata nella parte Nord).
Siamo partiti sempre con calma, dopo una bella colazione in hotel, e ci siamo lanciati in quel deserto rovente. Non ho mai apprezzato tanto l'aria condizionata come in quel momento. Più ci allontanavamo da Joshua Tree più aumentava la temperatura. Non so esattamente quanti gradi ci fossero perché sull'auto la temperatura era indicata in fahrenheit  ma oscillavano tra i 90 e i 100, e secondo me erano tanti, abbondantemente sopra i 40 centigradi.
La prima cosa che ci ha colpito è stata il nulla. Queste strade immerse in paesaggi desertici sconfinati. In lontananza, di tanto in tanto, si vedevano dei piccoli agglomerati urbani, segnalati dalla presenza sulla strada di cassette della posta allineate.


Dopo un paio d'ore arriviamo ad Amboy, vediamo il cartello e ci chiediamo dove sia. Il paese è rappresentato da un distributore di carburante, accanto a quattro casette bianche, in pieno deserto. C'è un cancello son su scritto "school" ma, se di una scuola si tratta, è chiaramente abbandonata. Al distributore c'è un raduno di motociclisti, uno di loro cade facendo manovra ma si rialza prontamente. Noi scendiamo dall'auto per fare la prima foto sulla Route 66 ma torniamo presto in auto. Dire che c'è un caldo infernale è poco. Un caldo che stordisce e fa sognare l'inverno.












Lasciamo Amboy tramortiti dal caldo e sorpresi, perché la città non è una città ma un accampamento nel deserto, e ci dirigiamo verso Oatman, la prossima tappa sulla route 66, in cui speriamo di trovare un posto per mangiare.
La strada si addentra sempre più nel deserto dell'Arizona, lentamente inizia a salire; dopo circa un'ora in cui veniamo superati da diverse moto, per lo più bellissime Harley Davidson guidate da centauri sbrindellati, senza casco - forse per il caldo - arriviamo in un paesino pieno di moto e asinelli. E' Oatman! Un paesino piccolissimo sulla route 66 in cui gli asini girano liberamente tra le persone, e ci sono anche negozietti country e saloon.







Pranziamo in un saloon a Oakman, paradiso degli asini e dei motociclisti, e poi riprendiamo il nostro lungo cammino verso Williams, attraversando valichi di montagna, osservando treni merci lunghi centinaia di vagoni, e attraversando città - se così si possono definire - come Kingman e Seligman, tutte sulla route 66 e abbastanza anonime.



Arriviamo a Williams verso le sette di sera. Il motel, un American Best Value in perfetto stile americano, si trova sulla route 66; parcheggiamo davanti alla porta, la stanza è confortevole e il letto comodissimo. Non mi sento molto bene, forse per la stanchezza, il viaggio è stato lungo ed emozionante e poi scopriamo per caso che quella città, un po' più grande delle precedenti, si trova a duemila metri d'altezza. Non si vedono montagne né strapiombi e questo non ci ha fatto rendere conto di trovarci così in alto. La sera bevo un tè verde e vado a letto sperando che la notte passi in fretta, non vedo l'ora di visitare il Grand Canyon!



L'ombra dello scorpione




All'inizio della quarantena, quando ero ancora spaesata ed euforica, ho scelto di leggere un libro che mi sembrava adatto al periodo, che in qualche modo esorcizzasse la paura della superinfluenza. Non pensavo ci avrebbe piegati in questo modo, che avrebbe ucciso amici, familiari, così, ridendoci su, ho iniziato a leggere un libro del Re intitolato L'Ombra dello scorpione. Uno dei suoi migliori, lungo più di mille pagine, di cui avevo letto una buona metà molti anni fa ma che avevo sospeso a malincuore perché ci vuole tempo per un libro del genere e io di tempo non ne avevo. Così, circa quaranta giorni fa - pensavo che la quarantena durasse quaranta giorni ma qua ci stiamo spostando sui sessanta, la sessantena - ho scaricato la versione digitale (leggo principalmente da sdraiata e faccio fatica con i volumi pesanti) e ho ricominciato da capo.
C'è un uomo che fugge nella notte, scappa da un centro in cui stanno mettendo a punto un virus letale che sfugge ai controlli. E lui, anziché rimanere lì e soccombere insieme agli altri scienziati, pur sapendo di essere spacciato, raccoglie sua moglie e sua figlia e scappa, diffondendo il virus - Captain Trips - uccidendo di fatto il 99% della popolazione mondiale. Questo è solo l'inquietante inizio, poi King ci offre la storie di personaggi meravigliosi, cui ci si affeziona (o si detestano) e diventano i tuoi migliori amici (o nemici), le cui vite confluiscono in uno dei due punti di raccolta dei superstiti: a Est, la zona del Bene, a Ovest (casualmente Las Vegas 😂) la zona dominata da un esilarante uomo nero: il male. Ci sarebbe così tanto da dire, ma non voglio spoilerare, anche se il libro è del '90 (una prima versione era stata pubblicata nel '75, ha la mia età!) quindi penso che molti di voi la conoscano.
Che viaggio ragazzi.

Ciao Pino!


Il 9 aprile ci ha lasciati mio cugino Pino. Un ragazzo di 70 anni buono, generoso, allegro. Un Trapani cocciuto che è diventato nonno senza diventare vecchio. Pino era un uomo forte, in gamba, non sapeva stare con le mani in mano. Dopo una vita di lavoro si era messo a produrre miele, a installare zanzariere, e questo è quel poco che so. Ho assaggiato il suo delizioso miele al matrimonio di sua figlia, dieci mesi fa, e le sue zanzariere sono qui a casa mia, indistruttibili, da anni, ma chissà quante altre cose sapeva fare. Pino era un uomo sano e vivace. Aveva una gran voglia di vivere e lo avrebbe fatto a lungo, avrebbe girato l'altra metà del mondo e trascorso dolci estati sulle sue amate colline romagnole, nella casa che fu di suo padre, mio zio Ignazio, e sua madre, la mia adorata zia Sasà. Penso a quella casa, al panorama delle colline e piango. Da piccola ci rifugiavamo spesso a Cesena con la mia famiglia, ricordo le grandi tavolate piene di siciliani con accento romagnolo a mangiare una bestia che zio Ignazio aveva sacrificato per l'occasione, e a bere il vino dei suoi vigneti, mentre noi bambini giocavamo tra le viti, la stalla, le altalene appese agli alberi, i frutteti. Ho rivissuto quei ricordi l'estate scorsa, quando ho trascorso una serata su quei colli e il cibo era buono e io non ero più figlia ma madre, e lui era più che padre, era nonno. E c'erano i suoi nipoti che giocavano con le mie figlie, e sua moglie mi mostrava le foto di un tempo. Piangevamo zia Maria e oggi piangiamo lui, Pino, un ragazzo di 70 anni ucciso da un virus. L'intera famiglia si è unita per sostenerlo, siamo tanti e ognuno pregava e sperava come poteva in questi giorni di agonia. Non è bastato. Con grande dispiacere abbraccio da lontano sua moglie, i suoi due figli, i suoi nipotini che hanno l'età delle mie figlie, i suoi fratelli e sorelle, e i loro figli. Non doveva andare così  Spero che dall'altra parte abbia trovato l'altrettanto nutrito gruppo della famiglia che ci ha preceduto: i suoi genitori, sua sorella Rosa, nostro cugino Giacomo, i figli delle sue sorelle, Giancarlo e Andrea, il nostro angelo: zia Maria, gli zii, i nostri nonni Rosa e Francesco.
Nonno Francesco non l'ho mai conosciuto, è morto molto prima che io nascessi, ma mi è sempre sembrato di vederlo nell'azzurro intenso dei suoi occhi.
Spero che lassù stiano festeggiando il suo arrivo. Pino ha smesso di soffrire e adesso è con loro, nella luce dei giusti, delle persone per bene che quando lasciano questo mondo lasciano un vuoto immenso.