lunedì 14 settembre 2015

David Copperfield



A quarant'anni il mio primo Dickens. Un ritardo spaventoso. Ma meglio tardi che mai. Mi sto spostando dai russi ai francesi e agli inglesi e voltandomi posso affermare che Dickens, forse li batte tutti. Non tanto per la complessità della storia, che ne ho lette di molto più intircate, ma per il suo stile. La magia con cui ricopre tutto ciò che sfiora, e l'orfano di padre ha sempre una madre dolce e gioiosa pronta a consolarlo. La madre impazzisce ma c'è la sua governante a proteggerlo. E anche quando si ritrova solo, abbandonato poco più che infante in una fabbrica in cui viene sfruttato, trova sempre la forza nella sua bontà d'animo e in quella dignità che non perde mai. David Copperfield in qualunque occasione si è dimostrato alto, come il signor Peggoty, quell'umile pescatore - fratello della sua governante - dotato di una dignità che i più grandi capi di stato possono scordarsi. La barca sulla spiaggia in cui vive quella famiglia, un padre con figli non suoi, orfanelli accolti da un uomo che amerò finché avrò vita. I suoi personaggi sono davvero indimenticabili, anche quelli secondari. Come il Signor Dick che la zia apparentemente arcigna salva dal manicomio. Che nessuno come lei sa quanto valga quell'uomo. La stessa zia che inizialmente viene dipinta come una strega - perché lui dipinge magnificamente - dimostra com le apparenze spesso inganno, e anche alcune ruvidità caratteriali possono essere dovute a dei drammi vissuti e non superati. I personaggi negativi sono i più negativi di ogni tempo, e attraversano ogni epoca. Sono sempre loro, l'ambizioso viscido opportunista, il patrigno privo di amore, ma nessuno a mio avviso li rende odiosi quanto lui.
La sensazione di tornare a casa e avere qualcuno che ti aspetta in un libro, nel caso di David Copperfield è stata particolarmente accentuata. "Il mio Davidino" dicevo a mio marito, fino alla fine. Anche se alla fine aveva più di quarant'anni. Ma anche il signor Peggoty quandò lo salutò lo chiamò "Signorino Davy". Perchè David, come Dickens, non ha perso la purezza dei fanciulli, quel loro modo di guardare il mondo. Con stupore e candore. Ed è questo che mi ha insegnato questo romanzo. A non dimenticare mai la mia parte bambina. Dovremmo farlo tutti, ricordando sempre che è proprio quella la parte migliore di noi.

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