mercoledì 13 novembre 2013

Un mio racconto "sportivo"



 
Mister


La primavera era appena iniziata e Stefania si sentiva più stanca che mai.
Come ogni mercoledì uscì dal lavoro giusto in tempo per precipitarsi a prendere sua figlia a scuola, portarla di corsa a danza, e subito dopo la lezione fare un salto veloce al supermercato e tornare a casa, fare una doccia insieme, dare una rassettata alla casa e preparare qualcosa per cena.
Insomma tutti i giorni era la stessa storia: una corsa continua contro il tempo.
“Sono un’atleta”, si ripeteva, per trovare il coraggio di arrivare a fine giornata con un umore decente.

Era stanca, Stefania, come tutte le mamme dei suoi tempi, ma tutto sommato la sua vita le piaceva.
Se solo le giornate fossero durate 26 o 27 ore piuttosto che 24…

Quel pomeriggio, fuori dalla scuola, incrociò Paola, che stranamente quel giorno era riuscita ad uscire prima dal lavoro ed era lì, al posto dei suoi genitori, a prendere la sua bambina.
“Ciao capitano”, la salutò sorridendo.
Ogni volta che la vedeva prendeva come una boccata d'ossigeno. Anche Paola, che ammirava come un mito, era trafelata almeno quanto lei.
“Oh… Tp!” rispose la giovane donna, a differenza del solito cinque che le batteva ogni volta, in memoria dei bei vecchi tempi.
“Tutto bene?” le chiese Stefania stupita da quella variante nel suo saluto.
I particolari erano ciò che proprio non le sfuggiva… Se non l’avesse incrociata per due anni di seguito, ad esempio, si sarebbe stupita meno.

Paola era un tipo discreto, così le si avvicinò lentamente e le parlò sottovoce.
“Hai saputo del Mister?” chiese guardando da tutt’altra parte, sperando di ricevere una risposta anche solo lontanamente affermativa.
“Gianca? No, non so nulla!”
Paola sospirò.
“E' stato male.”
A Stefania accelerarono i battiti del cuore.
“… Oddio… quanto male?”
Michela se n'era andata da così poco tempo... non era passato neanche una anno! Non era pronta ad una ulteriore perdita di un pezzo del suo passato.
Il suo passato più dolce, quello della squadra.
“Non dirmi che ha il tumore anche lui, ti prego…” la implorò.
Ultimamente se ne stavano andando tutti così.
Era accaduto anche a Loris, il loro caro presidente… poi, dopo un paio d’anni, a Michela.
Non poteva essere già il turno di Giancarlo!
“Non si è capito bene cos'abbia... Ma non gli stanno dando molte speranze.”
A Stefania girò la testa.
“E' in ospedale?”
“Si, in terapia intensiva.”
“Mio dio.”
No. Stefania non era decisamente pronta ad un'altra brutta notizia.
“Pare abbia qualcosa all'intestino... Negli ultimi anni non ha fatto che mangiare schifezze, sempre dietro alla sua squadra di pallavolo! Non ha una donna che si occupi di lui, una fidanzata, una compagna, che so, una zia! Sai come sono gli uomini senza una donna vicino, no?! Si trascurano! E lui soprattutto non si rende conto che gli anni passano per tutti! L'eterno ragazzino!”
Paola era molto arrabbiata! Ebbe una reazione degna di una donna matura, come quella che dovrebbe avere una madre o una nonna.
In effetti a trentasei anni erano entrambe mamme…
Gianca invece quanti anni aveva?
... Sicuramente era più grande di loro quando aveva iniziato ad allenarle da ragazzine, poi erano diventati coetanei quando intorno ai diciotto anni avevano entrambe lasciato la squadra, ed ora... Gianca era decisamente molto più giovane di loro.
La sua vita andava al contrario rispetto a quella di qualunque altro mortale.
Per questo era contro natura immaginarlo moribondo!
“Lo stanno curando, almeno?” chiese Stefania con un filo di voce.
“So che l'hanno operato d'urgenza… E' andato in pronto soccorso quando il mal di pancia era diventato insopportabile. Pensava di cavarsela con due pasticche, quell'imbranato! So che gli hanno tolto subito una parte di intestino. Possiamo solo pregare per lui, Tp.”
Pregare... Stefania era atea da prima ancora che nascesse. Paola, questo, lo sapeva benissimo. Doveva essere davvero disperata per rivolgere proprio a lei quella richiesta.
“Oh Capitano... dici che se la caverà? Non sopporterei... non...”
Paola la abbracciò prima ancora che Stefania finisse la frase. Sapeva quanto stesse ancora soffrendo per la perdita di Michela.
“Non avrei mai voluto darti una notizia del genere. Ma mi sembrava giusto che lo sapessi.”

Stefania prese sua figlia a scuola e la fece salire in auto.
Sulla sua auto azzurra.
“Cos'hai mamma?”
Lei non le rispose nemmeno.
Notò per la prima volta che il colore della sua automobile coincideva con quello dell'auto che Gianca aveva ai tempi della pallavolo: una ritmo azzurra, su cui negli anni '80 riusciva a caricare una squadra intera con tanto di sacca dei palloni.
Stefania fece sedere sua figlia sul seggiolino, le allacciò le cinture...
“Le cinture...” sorrise tristemente.
Dieci ragazzine in un’auto, più l'allenatore, più i palloni.
“A quei tempi le leggi dovevano essere ben diverse…” farfugliò.
O più semplicemente Gianca aveva sempre rischiato il ritiro della patente per la sua squadra.

La pallavolo era tutta la sua vita.

Aveva iniziato ad allenarle da ragazzine, tutte sui 12 anni. Sembrava un gruppo promettente; lui a quell'età le giudicava dal piede.
Aveva creduto in loro da subito, e infatti nel giro di pochi anni aveva una rosa di sei titolari di cui la più bassa, che solo i più intimi chiamavano “Tp”, era alta un metro e sessantanove e aveva una schiacciata formidabile.
Il capitano, Paola, era conosciuta e rispettata dalle squadre avversarie, e veniva chiamata da tutti “il fenomeno.”
Da una squadretta dell'oratorio in pochissimo tempo erano diventate una temibile squadra di prima categoria, corteggiata da alcune delle più importanti associazioni sportive del milanese.
Ma poi, purtroppo...
Tp fu costretta ad abbandonare la sua adorata squadra sul più bello. Era la schiacciatrice più imprevedibile che si conoscesse, ambidestra dalla nascita saltava più in alto delle ragazze molto più alte di lei.
Quando schiacciava sembrava volare.
Per le avversarie, Stefania Tp era “l'angelo nero”; eterea e spietata riusciva a schiacciare sulla linea dei tre metri senza nemmeno sfruttare la diagonale, e quando prendeva di mira un'avversaria allora diventava un vero e proprio cecchino. Solo gli occhi blu del suo capitano riuscivano a placare l’odio immotivato che ogni tanto s’impossessava di lei. Fosse stato per Gianca, invece, le avrebbe lasciato massacrare le avversarie senza alcun ritegno!
Non che Stefania fosse una persona cattiva, ma quando entrava in campo era come se entrasse in guerra. E lei, da “angelo nero” quale era, odiava perdere.

Purtroppo perse la guerra più importante: quella contro la natura.
Nonostante le visite agonistiche a cui veniva spesso sottoposta nessuno si era mai accorto dei suoi cinquanta gradi di scoliosi.
Se ne accorse quasi per caso il suo medico di base, quando  un giorno la visitò per un'asma allergica stagionale, e notò, mentre le auscultava le spalle, la grave, innaturale curva della sua colonna vertebrale.
Così, con un'ingessatura alla schiena lunga un anno, si concluse la sua brillante carriera da pallavolista, a soli diciotto anni.
Paola, “il fenomeno”, venne acquistata da una squadra di serie B.
Ma anche la sua carriera non durò a lungo: senza Gianca, Tp... senza la sua squadra non riuscì a rendere la metà di quanto valeva.
Così nel giro di poco tempo smise di giocare anche lei, la squadra si sciolse, Gianca ricominciò ad allenare una squadra di ragazzine e da allora andò avanti ricominciando, ricominciando e ricominciando, fino a quando non si ritrovò in ospedale, nella primavera del 2012, in un reparto di rianimazione, con un infarto intestinale.

“Non riesco a venire a trovarlo, capitano…”, si giustificò  Stefania abbassando lo sguardo, una settimana dopo.
“Non devi sforzarti. Però se è solo paura di impressionarti... beh, sbagli... lui dorme... dorme e basta. Sai, dicono che potenzialmente potrebbe sentire tutto… Potrebbe fargli bene ascoltare delle voci amiche... Bisogna trovare lo stimolo giusto per farlo reagire. Però se non te la senti non c’è problema. Tanto c'è la processione ogni volta che vado da lui. Noi siamo solo le più vecchie... magari nemmeno si ricorda di noi.”
“Esagerata!” sorrise Stefania, che conosceva bene Gianca e sapeva che mai e poi mai si sarebbe dimenticato di loro.
“Mica tanto... ha delle allieve di dodici anni. Quante ragazze avrà allenato dopo di noi?”
“Mi sa tante”, sorrise Stefania.

“Ricordi quando ti presentasti agli allenamenti con gli occhiali da sole?” disse Paola.
“Con Michela ci abbiamo riso fino al suo ultimo giorno di vita...”
“Povera Michela… ricordi quando andava in battuta?” chiese Paola.
Stefania annuì.
“Colpiva la palla e poi faceva un saltello...” si commosse. “Questa è la cosa che più mi manca di lei. L'immagine che proprio non riesco a superare... il ricordo della sua battuta.”
“Gianca ce la farà”, disse Stefania tra i denti.
Poi guardò Paola negli occhi.
“Mi hai chiesto di pregare, e io ho pregato Michela. Giancarlo ce la farà.”
Tp non aveva mai visto il suo capitano piangere. Nemmeno quando da ragazzine Gianca le sgridava sul campo, urlando come un pazzo! Nessuno resisteva alla tentazione di piangere. Quelle urla erano peggio di una pallonata sul naso, ma non per Paola, che non piangeva mai.
Era un tipo orgoglioso il suo capitano, forse per questo Gianca aveva scelto lei per quel ruolo.



“Verrò a trovarlo”, le disse un pomeriggio di inizio estate.
A Paola brillarono gli occhi.
“Dici sul serio?”
“Si, verrò”, continuò titubante.
Era stata vicino a Michela, in quei suoi ultimi giorni di vita, e sapeva quanto fosse doloroso stare accanto ad una persona in bilico tra la vita e la morte.
Ma non voleva rischiare di non vedere mai più il suo Mister.
Le sue condizioni erano critiche ma stazionarie. Lo avevano operato altre undici volte nel frattempo; tentavano disperatamente di salvarlo.
Il padre di una sua giovane allieva lo aveva fatto trasferire nell’ospedale in cui lavorava per assisterlo più da vicino.
Il problema principale, a quel punto, era la sua totale mancanza di reazioni.
Anche quando lo toglievano dal coma farmacologico lui non reagiva in alcun modo. Era finito come in un mondo tutto suo dal quale non poteva, o non voleva riemergere.
Non sentiva nemmeno le voci di chi andava a trovarlo.
“Mi accompagni tu, però”, le chiese intimorita Stefania.
“Ma certo”, rispose prontamente Paola.
In cuor suo sapeva che a Gianca avrebbe fatto bene sentire la sua presenza.

Il giorno stabilito per la visita in ospedale arrivò più veloce del previsto.
Stefania non era affatto pronta a quell’incontro. Non era mai pronta ad incontrare dei morti viventi. Erano sempre stati il suo incubo peggiore. Li sognava fin da bambina: morti che si muovevano, che respiravano...
Ma Gianca non era morto, Gianca ce la doveva fare: era il suo Mister!

Per trovare il coraggio si ritrovò a compiere un gesto che prima di allora aveva fatto una sola altra volta, in una situazione troppo simile a quella.
Tirò fuori la sua divisa di pallavolo, ne ammirò il numero, l'insostituibile 7. Non avrebbe saputo giocare senza quel numero sulla schiena e sul cuore. La strinse forte a sé, la annusò. Le parve di sentire quel profumo di palestra e palloni che credeva di aver dimenticato.
La indossò come si indossa un cimelio.
Poi la coprì con una felpa. Non voleva che gli altri la notassero. Avrebbero potuto provare pietà per lei. Sarebbe stato intollerabile.
La sensazione di quella divisa sulla pelle le restituì il coraggio dei tempi passati. Raccolse i capelli, in una lunga coda... ricordò quante invasioni di campo aveva fatto coi suoi capelli, con quanti arbitri aveva avuto da ridire per quella sua coda bionda, ma mai era scesa al compromesso di tagliarla o ingabbiarla in uno chignon.
L'angelo nero aveva la coda. Punto.

Arrivò ai piedi dell'ospedale dove c'era Paola ad aspettarla.
“Scusa il ritardo...” disse imbarazzata.
“Non preoccuparti, sono appena arrivata anch'io”, mentì Paola, comprendendola.
Entrarono in ospedale e a Stefania parve di sentire le voci di una palestra gremita di gente.
I fari che la illuminavano erano accecanti e lei… stava per schiacciare! Ma mancò la palla.
Gli spettatori la guardarono increduli. Un errore del genere era imperdonabile!
L'angelo nero non sbagliava le schiacciate in quel modo!
“La luce...” farfugliò ad alta voce.
Paola la guardò preoccupata.
“No, nulla...” proseguì Stefania, estraendo gli occhiali da sole dalla borsetta.
Gianca, in panchina, rise divertito. Stavolta non l'avrebbe allontanata dalla palestra, come fece qualche anno prima, quando agli allenamenti si presentò indossando gli occhiali da sole.
Stava troppo male per infuriarsi.
Salirono prendendo le scale dell'ospedale; Paola aveva la fobia degli ascensori.
Finalmente giunsero in reparto.
“E' in quella stanza lì... l'ultima sulla destra...”
“Vai avanti tu?” chiese mestamente Stefania.
“Ma certo”, rispose l’amica, fingendosi coraggiosa.

L'odore della palestra travolse Stefania, questa volta in maniera più decisa.
La gente faceva il tifo per lei, e stavolta era in prima linea: non avrebbe fallito.
Arrivò una bordata dall'altra parte del campo, la ricezione non fu delle migliori ma arrivò all'alzatore in maniera sufficiente per servirle un’alzata impeccabile.
Allora Stefania inspirò profondamente e spiccò un volo mai visto prima.
“Angelo nero! Angelo nero!”
Tra quelle voci riconobbe quella di Michela.
“Non temere Tp, te l’ho promesso! Ce la farà!”
E lei arrivò a sfiorare le stelle. La visuale del campo, da lassù, era chiarissima, c'era un buco enorme proprio di fronte a lei, nell'angolo destro del campo.
La sua posizione, in quel momento, era la sua preferita: quella da fuori mano, proprio sulla destra... così ricorse alla mano sinistra... quella che non perdonava.

“Ciao Gianca”, disse Paola.
Stefania schiacciò con tutta la forza che aveva. Il tonfo del pallone, sull'angolo destro del campo, echeggiò in tutta la palestra.

“Ciao Tp”, rispose Giancarlo dal suo letto d'ospedale.
“Mancavi solo tu.”

Giancarlo lentamente si riprese e dopo un paio di mesi era nuovamente su un campo di pallavolo.
Con lo stesso entusiasmo di prima e un’età che era sempre più difficile da definire; col solito pacchetto di patatine nel borsone, che lo attendeva per cena.
Stefania, invece, aveva ricominciato a sentire il profumo delle palestre, ma non solo col cuore!
A sua figlia, infatti, era passato il desiderio di indossare un tutù e trascorrere due pomeriggi alla settimana in una scuola di danza. Giorgia aveva appeso le scarpette al chiodo e recuperato un paio di ginocchiere e una vecchia divisa dall’armadio di sua madre…
Il numero che scelse fu ovviamente il 7.
Il suo Mister?
Provate a indovinarlo.

“Mister” – Racconto inedito di Stefania Trapani

1 commento:

  1. Che bella vicenda,e col lieto fine. :) Grande Stefania.
    Pagel

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