lunedì 7 marzo 2016

I miserabili



"Il forzato si trasfigura in Gesù Cristo", parola di Victor Hugo.

I miserabili non è la storia di Cosette, come suggerisce qualche versione ridotta del romanzo, ma è la storia molto più grande di Jean Valjan. Un moderno Gesù Cristo, imprigionato vent'anni per aver rubato un pane non per se stesso, ma per la famiglia di sua sorella. Per lei e per i suoi nipotini di cui si occupa come un padre. Jean Valjan è la più grande vittima che mai sia stata raccontata. Vittima di profonde ingiustizie che si susseguono ma dalle quali si riscatta semplicemente compiendo il bene. Quel Bene, che gli consente di mettere gli altri prima di se stesso in maniera del tutto disinteressata. E ciò che ne deriva, è un'immensa elevazione spirituale che appunto lo trasfigura. Da ultimo, in volto di Dio.
Parigi nei primi '800 era davvero una città terribile, povera, spietata. Ne sono la prova la moltitudine di bambini abbandonati per strada, i monelli. Cosa c'è di peggio dell'abbandono dei propri figli? Dello sfruttamento dell'innocenza? Niente.
Nei miserabili viene proprio raccontato questo. La miseria senza fine della vita umana, quando ci si allontana dal Bene.
Il libro e il più corposo che abbia mai letto, duemila pagine tra racconto e profonde digressioni che approfondiscono il taglio storico e sociologico del libro. A volte troppo intense. Personalmente avrei preferito qualche centinaio di pagine in meno a favore della continuità della storia. Ma la mia non è una critica. È l'ammissione dei miei limiti personali. Per quanto mi riguarda, posso solo inchinarmi di fronte alla maestosità e alla potenza di un tale romanzo. Ricchissimo di storie è unito dal filo conduttore di un Uomo che non dimenticherò mai: Jean Valjan. Eroe immenso e sfortunato che ci insegna che il fine della vita non può essere la propria felicità, anche se è proprio la mancanza di questa - che incredibilmente anche lui, alla fine, aveva trovato - il suo tallone di Achille.
I miserabili è un libro che si legge soffrendo. L'ingiustizia che si ripete è un coltello nel fianco. Il senso di impotenza che ne deriva è doloroso e frustrante, ma porta a riflettere. E ci implora di vivere nel Bene più di qualunque Bibbia, più di qualunque religione. Questo è un libro educativo, che se lo leggessero tutti avremmo un mondo migliore. Ma è anche un libro molto impegnativo. Mi ci sono voluti più di due mesi e un fiume di lacrime per portarlo alla fine; qualcuno meno cocciuto di me ne impiegherebbe il doppio, o magari si impianterebbe sulla battaglia di Waterloo (in cui a dirla tutta ho barcollato anch'io) o nell'approfondimento sui conventi parigini dell'epoca (duecento pagine). Purtroppo non è un libro per tutti.
Ed è questo il vero peccato.

1 commento:

  1. Bellissima e superapprofondita la tue recensione. E' vero,è un libro che strappa le lacrime e anche un certo sgomento interiore. Ma,come Jean Valjan ( e qui anche tu) ci insegna,è il Bene la cosa perseguendo e realizzando la quale ogni persona su questa Terra riuscirà a scendere felicemente a patti col senso stesso della propria esistenza :) Cos'è dunque il Bene?Riassumendo,è l'agire avendo come propria bussola il benessere interiore e fisico di tutti quanti(inclusi noi stessi),senza egoismi e senza strafare,anche se ciò,a volte,si concretizza in azioni e scelte definitivamente eroiche.D'altronde l'abnegazione è una qualità non facile da coltivare,l'ideale sarebbe di nutrirsi tutti vicendevolmente,a livello di cuori,tralasciando le nebbie sterilmente filo-egoiche del sistema che ci circonda e plagia tutti i giorni. Ma tutti possiamo scegliere di fare cose buone,ogni giorno,e da qui possiamo attingere al pozzo,neanche troppo inarrivabile,della vera gioia. Pagel

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