Come da promessa eccomi qui a
raccontarvi l’esperienza più devastante della mia vita; la più deludente.
Avevo concluso "Portata dal
Vento" che ero in uno stato di grazia, agli sgoccioli di quella gravidanza
tanto cercata, arrivata come un miracolo quando ormai iniziavo a perdere le
speranze.
Avevo paura del parto, certo, ma non
mi sarei mai aspettata questa tragedia!
La gravidanza era stata dolce e
pesante, allo stesso modo mi aspettavo il finale… condendolo ovviamente con
molto romanticismo.
Non desideravo altro che guardare il
mio sogno negli occhi!
“Dimenticherai ogni dolore”, mi
dicevano.
"Col cazzo!" rispondo oggi
a quelle voci del mio passato.
Quel parto disumano non lo
dimenticherò mai, questa è una delle poche certezze che ho.
Mi basta chiudere gli occhi per
rivedere quella gelida sala parto, l’arrivo delle contrazioni preannunciate dal
monitor, la voglia di morire piuttosto che lasciarmi travolgere e massacrare da
quelle ondate di dolore, paragonabili a venti ossa che si spezzano tutte insieme,
come mi è capitato di leggere di recente.
E poi mi chiedo perché urlavo come una
disperata!
Nessuna donna dovrebbe provare quel
dolore.
Partorissero gli uomini farebbero
tutti il cesareo… e infatti io, da buon maschio (perché mi sento più
maschio che femmina, #sapevatelo) per la seconda figlia ho preteso il cesareo
programmato a 37 settimane.
Ma a parte il dolore, che definire
disumano è poco, la violenza… era proprio la violenza, di quello che doveva
essere un atto d'amore, che non mi aspettavo.
Ed è proprio quella violenza che mi ha
ferita e umiliata... che ha rovinato tutto, insomma.
Ma andiamo con ordine.
Il 15 giugno mattina, a 40 settimane +
2 giorni di gestazione, vado in ospedale con Giorgio a fare il secondo
monitoraggio: la piccola è in ritardo e il liquido amniotico non è molto.
Durante la visita il ginecologo mi effettua nuovamente lo scollamento delle
membrane, dopo dieci giorni dalla prima, che questa volta, però, si rivela
efficace.
Infatti dopo 15 ore rompo le
acque.
Avevo trascorso tutto il giorno sul
divano a ricamare l'ultimo dei tre fiocchi per la nascita di Giorgia, quello
che avrei esposto all’ingresso della mia camera d'ospedale. E mentre ricamavo
la pancia cambiava forma, si stava come appiattendo e abbassando... e poi quel
bruciore di stomaco mi aveva proprio insospettita, tanto che avevo avvisato
Giorgio di prepararsi.
Rompo le acque all'1:30 di notte del 16 giugno 2008, sveglio Giorgio che si era appena addormentato, ed emozionati andiamo subito in ospedale, dove mi ricoverano.
Mi accompagnano in sala travaglio e mi
consegnano i braccialetti: due piccolissimi per la bambina (che tenerezza!) e
due più grandi, uno per me e uno per Giorgio, che mai come in quel momento
sento di amare con tutto il cuore.
In sala travaglio mi attaccano il monitoraggio e Giorgio si siede accanto a me su una poltroncina scomoda... io vengo assalita da una tristezza infinita, mi rendo conto di quante volte ho dato per scontato le nostre notti abbracciati e fuori dal mondo… avrei dato qualunque cosa per poter trascorrere un’ultima notte sola con lui, nel nostro letto.
In sala travaglio mi attaccano il monitoraggio e Giorgio si siede accanto a me su una poltroncina scomoda... io vengo assalita da una tristezza infinita, mi rendo conto di quante volte ho dato per scontato le nostre notti abbracciati e fuori dal mondo… avrei dato qualunque cosa per poter trascorrere un’ultima notte sola con lui, nel nostro letto.
Mi rendo conto che non saremo mai più
in due e mi assale lo sconforto.
“Provi a dormire”, mi suggerisce l’ostetrica di
turno.
“Come no!” le rispondo.
Sta per nascere mia figlia e io posso fare tutto,
tranne che dormire.
Restiamo svegli, in timida attesa, fino alle 7 di
mattina, ma non succede nulla. Non ho alcun dolore, se non qualche mal di
pancia lieve a intermittenze irregolari; infatti non mi sto dilatando.
Alle 7 chiamo mia madre dicendole di venire con
calma.
Dopo dieci minuti è già lì.
Inizia ad alternarsi con Giorgio in quella sala
travaglio, fino all’1 di pomeriggio, quando mi fanno una flebo di antibiotico
dato che ho rotto le acque da oltre 12 ore e non ho ancora partorito;
ovviamente non mi danno da mangiare.
Intanto le altre donne continuano a sfornare i loro
bambini con urla strazianti che mi lasciano intuire quel qualcosa in più, che
non volevo conoscere, su quel dolore.
“Sei programmata per questo”, mi suggerisce
Giorgio, tentando di rassicurarmi.
Ma io muoio di paura.
I dolori sono sopportabili, vanno e
vengono piuttosto regolarmente, ma io riesco a camminare, a ridere e scherzare,
provo a sdrammatizzare! Se ci riesco è solo perché la dilatazione avviene
lentamente: all'1:30 di notte ero di 2 cm, alle 17 ero di 5 cm. La strada era
ancora lunga, dovevo arrivare a 10 cm, ma il collo dell'utero si era appianato…
"Se vuole, a questo punto,
possiamo farle l'epidurale."
“I dolori sono molto più forti di
questi?” chiedo, accorgendomi di sopportare benissimo quelle blande
contrazioni.
In quel momento mi spaventa più un ago
infilato nella schiena che il parto in sè.
“Più o meno sì, sono questi” risponde
la bastarda.
Così dopo averci pensato sù decido di
no, che non voglio l’epidurale.
Lei mi dice di pensarci bene, perché
da un certo punto in avanti non sarà più fattibile, ma io resto ferma sulle mie
posizioni.
Che quello sia stato l’errore più grande della mia vita lo capisco dopo pochi minuti, quando mi passa la voglia di ridere.
Non so più che ore sono, ma credo due
o tre ore prima del parto, che avviene alle 21:50, quando inizio a sentire
qualcosa di completamente diverso da quel solletichino di prima.
Con Giorgio iniziamo a scaricare il
dolore coi vocalizzi, come mi insegnarono al corso.
“Arriva, arriva… AAAAAAAAAA”
“Arriva, arriva... EEEEEEEEEEEEE”
Lui è sempre carino, non teme di
apparire stupido, sebbene sia ancora lucido. In quel momento gli importa solo
di me.
Ma io inizio a non capire più niente.
Giorgio chiama l’ostetrica che ha
appena cambiato il turno… una ragazzina di vent’anni!
Appena mi si avvicina le vomito quasi addosso.
Mi scuso… sono mortificata.
Lei prende del disinfettante e pulisce alla meglio,
sorridente.
Dev'esserci abituata.
Non so più che ore sono (cos’è un
orologio?!) so che sto male, da morire.
Il dolore arriva a ondate.
Entra un medico con un gruppo di studenti. Gli
mostra i dolori del parto.
Sono orgogliosa di me, finché sono lì sorrido
anziché mandarli al diavolo come vorrei! Sono mezza nuda, sudata, con gli occhi
che sporgono più del solito, eppure riesco a mantenere un briciolo di dignità.
Per fortuna escono presto e io non ho più alcun
controllo. Quel dolore mi manda fuori di testa, non c’è più alcuna
sosta tra una contrazione e l’altra.
L’onda anomala che ha terrorizzato i miei sogni,
fin dall’infanzia, è arrivata.
Inizio a piangere e a tremare, quel
dolore mi paralizza.
"Prova a voltarti su un
fianco."
Rivomito.
Giorgio è impotente, vorrebbe esserci
lui al mio posto, ne sono certa.
“Ricordati che sei una guerriera”, mi
sussurra, ma io non riesco nemmeno più a sentirlo.
Non lo vedo più, non vedo più
nessuno.
Solo una luce abbagliante, dev’esserci
qualche faro puntato sopra di me e quel dolore inspiegabile, insopportabile… ho
freddo.
Venti ossa mi si spezzano
contemporaneamente.
La famosa pausa tra una contrazione e
l'altra comincia a diminuire fino ad annullarsi, fino a diventare una
contrazione unica.
Il dolore è un’onda interminabile: è
devastante.
Giorgio chiede aiuto all'ostetrica,
troppo giovane, che non si rende conto che sto per partorire: mi aveva visitata
un quarto d'ora prima ma la dilatazione era di 7 centimetri e la bimba era ancora alta!
Io inizio a urlare dal dolore ma
quella voce non è più la mia... la mia anima si è rifugiata in qualche angolo
di quello sgabuzzino. Non capisco più niente, qualcosa mi sta trafiggendo e io
non sono più una donna, ma dolore allo stato puro.
"Non ce la faccio più,
muoio!"
Imploro l'aiuto di qualcuno...
l'ostetrica allora mi sgrida!
“Non serve a nulla urlare così!
Spaventi tutti!” (Probabilmente anche lei) “Devi incanalare tutte quelle
energie nelle spinte!”
“Spingere...” non capisco più nulla ma
quella parola mi ricorda qualcosa, e allora inizio a spingere, più forte che
posso, e mi accorgo che spingendo il dolore diventa meno feroce.
E' talmente forte il bisogno di
liberarmi da quell’orrore che spingo forte... forse troppo forte... tanto che
in quattro spinte la piccola è fuori.
Nonostante le venti ore di travaglio
la fase espulsiva è stata troppo veloce e i miei tessuti non hanno retto.
Se solo l'ostetrica mi avesse
effettuato l'episiotomia i danni sarebbero stati minori, ma la sua poca
esperienza non ha aiutato…
Silenzio.
Non sento nemmeno il suo pianto.
“Se alzi la testa la vedi.”
“Vedo cosa?” mi chiedo.
Non so più chi sono.
Poi ho come un vago ricordo…
Vedo Giorgio che piange.
“Non la voglio vedere!” rispondo
furiosa.
Nessuno dovrebbe soffrire in quel
modo.
Poi la vedo sbucare dall’alto… Due
braccia la sorreggono... e lei è li, penzoloni... La mia bambina! Con le gambe
e le braccia lunghe, il faccino tondo, i capelli bagnati… i capelli! Quanti
capelli! Chi l’avrebbe mai detto...
Me la appoggiano addosso.
“Ciao AMORE…”, le dico, chiamandola
per nome.
E lei, quella meraviglia che ho
addosso, incazzata almeno quanto me, che tossisce e sputa sangue, smette
di piangere appena si appoggia al mio cuore… smettiamo di piangere e
tremare insieme... ci scaldiamo e ci calmiamo, torniamo a essere una cosa
sola, ma questa volta guardandoci negli occhi.
Non dimenticherò mai più quello
sguardo.
Quegli occhi neri che mi guardano
curiosi, che riconoscono il mio respiro, la mia voce.
Il dolore è passato, e io mi consolo
con quell’esserino caldo, quel pezzo di me.
“Spinga ancora che tiriamo fuori la
placenta.”
Non sento più nulla, c’è come una
bolla magica in quel momento, ci siamo io e lei, e nient’altro…
La placenta esce e la buttano in un
cestino.
Quell'immagine stride con ciò che
sarebbe dovuto accadere... Avevo firmato per donarla... qualcosa doveva essere
andato storto.
C’è troppa gente intorno a me, i
medici e gli infermieri continuano a entrare.
Il ginecologo, mai visto prima,
impreca.
“Chiamate l’anestesista!”
Guardo Giorgio.
“Stai tranquilla...” sorride,
fingendosi sereno.
Mi portano via la bambina, sorridono
nervosamente tutti.
Entra una bella ragazza bionda.
“Addormenttiamola!” le ordina il
medico.
“Perché le anestesiste sono tutte
belle?” mi chiedo stralunata.
Lei mi sorride e mette qualcosa nella flebo.
“Ti girerà un po’ la testa...”
“Non potevate addormentarmi prima?” mi
sembra di dirle, poi nuoto tra i pesci.
Riapro gli occhi un istante dopo.
Giorgio arriva con la bambina in
braccio, arriva mia madre.
“Come hai fatto a entrare?”
“Riaddormentatela!” ringhia il
ginecologo.
"Sangue, sangue, portatemi del
sangue! Controlliamole l'utero! Signora, vada fuori! Cosa fa lei qui, senza
camice! Senza scarpe sterili! Ma lo sa che questa è una sala operatoria?! Anche
il marito! Fuori tutti!"
E’ Furioso.
Che ridere mia madre che si intrufola
ovunque.
Guardo Giorgio, stavolta è lui ad
avere bisogno di me.
“Che bella che è…” sussurro.
“Stai tranquillo” sorrido prima di
tornare tra i pesci, e restarci, stavolta, un po' più a lungo.
Qualche ora, credo.
Mi sveglio una vita dopo, sono ancora
in quell’odiosa sala parto, sono tutta intubata, e molto, molto incazzata.
Chiedo della bambina.
E’ stata nove mesi dentro di me, non
possono tenermela lontana così!
Mi dicono che è bellissima ed è al
nido, ma alle 5 di notte non danno i bambini. Io inizio ad urlare come una
forsennata, voglio la mia bambina! La esigo con tutte le mie forze!
Chiudo gli occhi, forse svengo.
Quando li riapro c'è Giorgio accanto a
me con la nostra piccola in braccio... la rivoglio sul cuore, con tutti intorno
per la paura che la faccia cadere...
Come possono non sapere che una mamma,
anche se senza forze, non farebbe MAI cadere sua figlia?
E quella sarebbe la miglior clinica
ostetrica di Milano...
Mi fanno firmare la liberatoria per le trasfusioni ma non me ne importa niente, me ne importa solo di lei, la mia piccolina, e di mio marito, che capisco dai suoi occhi quanto abbia pianto.
La permanenza in ospedale è stata
lunga, ed è stata la cosa peggiore.
Mi mancava la mia casa, mi mancavano
le notti con Giorgio. E le forze che mi tornavano così lentamente... la febbre
che non mi abbandonava e l'emoglobina che non superava la soglia del 5 non so
cosa.
Doveva arrivare a 11 per dimettermi.
Dicevo ai medici di sentirmi bene, per
farmi liberare, e loro che si chiedevano come facessi a stare in piedi.
Quando si diventa mamme si diventa più forti.
Sono i nostri piccoli a darci la forza, e in quelle notti disperate tenevo la mia bambina nel letto con me e mi appoggiavo a lei, per consolarmi.
Ero io ad avere bisogno di lei, non lei di me.
Lei era, ed è tutt'ora, una bambina fortissima.
Quando si diventa mamme si diventa più forti.
Sono i nostri piccoli a darci la forza, e in quelle notti disperate tenevo la mia bambina nel letto con me e mi appoggiavo a lei, per consolarmi.
Ero io ad avere bisogno di lei, non lei di me.
Lei era, ed è tutt'ora, una bambina fortissima.
Si è attaccata al seno appena è nata e
lo ha fatto talmente bene che in seconda giornata avevo già il latte, nonostante
avessi perso due litri e mezzo di sangue.
Ora che l'ho scritto mi sento più leggera.
Ora che l'ho scritto mi sento più leggera.
Ovviamente consiglierò alle mie
figlie, quando saranno grandi, di rifiutare il parto naturale. Nessuno merita
di provare quei dolori, nemmeno l’essere più spregevole dell’universo.
Figurarsi loro!
Infatti di Giulia ho preteso il
cesareo ed è stata un’esperienza meravigliosa.
Darla alla luce senza dolore mi ha
permesso di amarla da subito e ha permesso a lei di avere una mamma felice, da
subito.
Questo è il parto che non volevo raccontare.
Questo è il parto che non volevo raccontare.
Non volevo che mia figlia Giorgia
conoscesse il modo drammatico in cui è venuta al mondo.
Ho concluso "Portata dal
Vento" con dolcezza, perché è così che si deve fare quando ci si rivolge a
un bambino.
Questa pagina è soltanto per chi pensa
che quel finale sia stato un non-finale, insinuandomi il dubbio.
Spero di aver accontato i curiosi
scrivendo un finale un po' più finale.
Una pagina in cui viene fuori tutta la
mia debolezza.
Anche questo mi suggerisce che sarei
dovuta nascere maschio.
Lo hai descritto con una intensità e con un realismo che aiutano a comprendere quel passaggio esistenziale unicissimo.Poi ci metti del tuo,rivelando parti del tuo animo.Bravissima. Alessandro
RispondiEliminaOps,mi ero firmato col nome vero :)
RispondiEliminaPagel
p.s. a proposito,si,sei proprio un tendenziale maschio :D :P Diciamo uno splendido ibrido :D
RispondiEliminaPagel
Ciao, hai passato un'esperienza orribile. Ma non è così per tutti. Io ho avuto due figli con parto naturale,senza epidurale, senza episiotomia e per me sono state due esperienze naturali e meravigliose. Non consiglierò a mia figlia il cesareo, a meno che non sia per un motivo di sicurezza.
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